Si è spesso affermata, dato dopo dato, la convinzione che la presidenza di Donald Trump abbia giovato (finora) all’andamento dell’economia americana. Come appare il confronto fra i dati macroeconomici antecedenti alle elezioni del 2016 e quelli attuali? L’emittente Cnbc ha sintetizzato questo “prima-dopo” in una tavola, che accompagna a ciascuna voce con una freccia, verde se il dato è salito, rossa se è sceso. Per il momento, il verde prevale ampiamente. Nel dettaglio, l’unico dato in rosso realmente negativo è il tasso di partecipazione al lavoro, sceso di 0,1% punti dal 62,8 a al 62,7%. Per il resto, scendono gli asset in mano alla Fed, segno della normalizzazione della politica monetaria, che poco ha a che vedere con la presidenza della Repubblica; la disoccupazione (più bassa di 1,2 punti al 3,7%) e la tassa sui redditi delle società, tagliata di 14 punti al 21%.
Cresce, ma non senza polemiche, il rapporto deficit/Pil, nonostante la robusta crescita degli Stati Uniti. Se nel 2016 era al 2,6%, ora il Congressional Budget Office prevede un rapporto al 3,9% per l’anno fiscale 2018 (nel grafico è riportato un erroneo 12,5%). Se la stima fosse rispettata si tratterebbe di un aumento assai deciso e pro-ciclico; si tratterebbe insomma di uno stimolo fiscale (in termini assoluti si parla di un disavanzo di 793 miliardi) che giunge in un momento di espansione economica già in atto.
Nello stesso periodo è aumentato non solo il deficit, ma anche il rendimento dei buoni del tesoro americani: 121 punti base in più al 3,10% per il Treasury decennale. Il risultato, anche qui, è legato all’evoluzione della politica monetaria, più che a quella fiscale.
E i mercati? Finora hanno festeggiato, smentendo fin da subito chi aveva temuto il crollo con la vittoria del magnate nella corsa alla Casa Bianca. Il Nasdaq ha guadagnato il 48% rispetto al pre-elezioni, lo S&P 500 il 32%.
Questo il passato. Ora la vera domanda è: quanto durerà?