A una ventina di giorni dalla scadenza per la presentazione della nota di aggiornamento al Def, la portata delle promesse del governo ha subito una brusca frenata e la portata della manovra finanziaria sarà probabilmente decimata.
Per alcuni mesi infatti sono convissute la linea prudente del ministro dell’Economia Giovanni Tria, che prometteva la continuità della traiettoria di riduzione del debito, e la linea determinata a realizzare i punti cruciali del contratto di governo al più presto. Due approcci che la matematica era destinata a rivelare inconciliabili.
Il dilemma, però, si sta risolvendo verso la decisa vittoria della moderazione, sponsorizzata da Via XX settembre, mentre i vicepremier Di Maio e Salvini inseriscono la completa realizzazione di reddito di cittadinanza e flat tax nell’orizzonte dei cinque anni di vita del governo. Sempre che il tavolo non venga ribaltato anzitempo.
“L’obiettivo è realizzare le misure economiche, non sfidare l’Europa sui conti”, ha dichiarato il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, lasciando intendere che il perimetro dei vincoli verrà rispettato. A conti fatti, il deficit dovrebbe risultare più alto dello 0,9% inizialmente previsto, ma abbondantemente al di sotto del 3%. Se passa la linea Tria, rimarrà sotto il 2%.
Secondo quanto scrive La Stampa, l’obiettivo di Tria sarebbe di mantenerlo entro l’1,5%, con un margine aggiuntivo di dieci miliardi di deficit che potranno garantire qualche piccola soddisfazione all’elettorato giallo verde. Si parla di una flat tax limitata ai lavoratori autonomi e di un potenziamento di fatto del reddito d’inclusione già introdotto dal precedente governo o un reddito minimo ma soltanto per i più poveri.
Se fino a pochi giorni fa qualcuno aveva temuto che il governo cercasse volutamente la collisione con i mercati per far scattare un programma decisamente sovranista (magari il famoso Piano B del ministro Paolo Savona), ora il punto debole dell’esecutivo si troverebbe nel versante opposto. Dare l’impressione di non essere all’altezza delle promesse che fruttato tanti voti. Come sottolineato da Marcello Sorgi sulla Stampa, è lecito chiedersi “quanto la frenata giallo-verde costerà, in termini di consenso a Lega e 5 Stelle”.
Una risposta tutt’altro che scontata, se si considera che a fronte di risultati discutibili nei negoziati europei sulla questione migranti, il consenso ha proseguito la sua scalata. Lo scorso giugno Giuliano Ferrara aveva intitolato un editoriale contro l’esecutivo in modo assai emblematico: “Io sono contro. Non per quello che fanno, ma per quello che sono”. Non è da escludere che i sostenitori del governo Conte ribaltino questo schema, continuando a sostenerlo per quello è, più che per quello che farà.
Manovra da 75 miliardi non si può fare
L’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli ha stimato quanto costerebbe la manovra “per intero” come promesso nel programma di governo. La flat tax costa 50 miliardi, il reddito di cittadinanza circa 17 miliardi e la riforma delle pensioni 8 miliardi. In realtà le indiscrezioni parlano di una legge di bilancio sui 10 miliardi, anziché i 100 considerati in un primo momento.
“Se facciamo il calcolo vengono fuori 75 miliardi, non si possono realizzare subito, si potrà incominciare a fare qualcosa, andare in quella direzione, fare qualcosa; la cosa più probabile è che si dovrà rimanere a un deficit intorno al 2 per cento, ma bisognerà trovare altre fonti di risparmio”.
Il rischio, ha fatto notare la giornalista di Rete4, è che se si oltrepassa le agenzie di rating declassino il nostro paese e che il paese debba ricorrere ad aiuti esterni e quindi aprire le porte alla troika (Bce, Commissione Ue e FMI). Cottarelli ha ribattuto: “Se si annuncia un deficit del tre per cento secondo me lo spread comincia davvero ad accelerare a valori pericolosissimi, e l’economia si ferma, anzi si va in recessione, ma una pesante recessione“.
“Perché – ha proseguito – se lo Stato ha difficoltà a prendere a prestito i soldi, le banche hanno difficoltà a prendere a prestito soldi, e allora non prestano più e senza prestiti l’economia non va avanti”. Lo scenario peggiore è che al contrario del 2010/2011 “questa volta ci tocchi chiamare la Troika e poi non si sa che cosa succede, potremmo anche finire come la Grecia, che deve fare una ristrutturazione del proprio debito pubblico“.