Mercati

L’equilibrio instabile che sostiene i mercati

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Da qualche mese gli Stati Uniti stanno offrendo meno certezze su crescita economica e inflazione. Si attendono segnali concreti dall’amministrazione Trump che però tardano ad arrivare. Eppure i mercati non sembrano non essere troppo preoccupati

I mercati azionari non mollano un colpo, con l’Europa che rimane in cima alle preferenze dei gestori. Nessuno, tuttavia, si fida completamente di questa salita anestetizzata a qualsiasi fattore o evento negativo. Come per esempio è il timore che il ‘reflation trade’, ossia la risalita dell’inflazione a livello globale, stia perdendo spinta. O come, ancora, il ritardo dell’amministrazione Trump nel mettere in atto le promesse della campagna elettorale che più piacciono ai mercati: riforma fiscale e investimenti in infrastrutture.

Didier Saint-Georges, managing director e membro del comitato di investimenti di Carmignac non è sorpreso: “Uno tra i luoghi comuni più diffusi è che ai mercati non piaccia l’incertezza. Quest’affermazione non solo è discutibile – alla luce del fatto che l’incertezza rappresenta l’essenza stessa dei mercati – ma è anche semplicemente errata nel contesto attuale, almeno per ciò che riguarda l’inflazione e la crescita”.

Equilibrio instabile, ma equilbrio

Per Saint-Georges lo scenario attuale rappresenta una sorta di equilibrio, instabile quanto si vuole, apprezzato dai mercati. “Ci sono molte ragioni per cui le banche centrali vorrebbero liberarsi il prima possibile dalla politica monetaria non ortodossa adottata durante la crisi: per ripristinare un margine d’azione per un futuro nuovo indebolimento dell’economia, per ridurre le distorsioni nei prezzi degli asset finanziari che queste policy hanno causato per molti anni, e per evitare di dover normalizzare i tassi troppo velocemente quando l’inflazione tornerà a crescere. Tuttavia temono di agire troppo presto e in maniera troppo incisiva”.

E il motivo è proprio l’incertezza sull’inflazione e sulla crescita. Dopotutto i prezzi al consumo sono “ancora fuori dalla zona di pericolo, ovvero sotto il 2%, la crescita dei salari statunitensi rimane ai minimi, il petrolio viene scambiato a prezzi contenuti e i consumatori americani sovra-indebitati cominciano a spendere meno”.

Quando l’equilibrio si romperà

“Nel caso in cui l’inflazione mostrasse un rialzo visibile – conclude Saint-Georges le banche centrali sarebbero costrette ad agire e i mercati dovrebbero necessariamente scontare un rialzo dei tassi, sollevando seri interrogativi sui prezzi degli asset finanziari. Se, d’altra parte, i tassi di crescita e inflazione dovessero decrescere nuovamente, questo significherebbe la sconfitta definitiva di anni di interventi da parte delle banche centrali e sarebbe percepito dagli investitori azionari come un enorme insuccesso. Quando i mercati saranno certi della direzione che l’inflazione prenderà – al rialzo o al ribasso – avranno una buona ragione per preoccuparsi”.