NEW YORK (WSI) – E’ un esercito di 2,5 milioni persone, hanno un’eta’compresa tra i i 15 e i 29 anni e ne’ studiano e ne’ lavorano. E’ l’ultimo dato aggiornato sui “neet” (youth Not in Employment, Education or Training) italiani compilato dall’Ocse.
Un dato, in parte noto, che riapre uno squarcio sugli effetti disastrosi che la prolungata crisi economica ha avuto sui giovani italiani. Se infatti il tasso di neet (sul totale della popolazione giovanile) nel 2007 era del 19,5% l’anno scorso questa percentuale è salita al 26,9 per cento. Peggio di noi c’è solo la Turchia (al 29,8%), mentre il divario rispetto alla media Ocse (14,6%) è passato a oltre 12 punti.
Ad aggravare lo scenario c’è il fatto che il 32% dei Neet italiani si trova in questa condizione da oltre un anno (solo la Grecia, con il 37%, si trova in una situazione peggiore, mentre la media Ocse è del 20%).
Al di là dei tanti aspetti sociali, secondo i tecnici dell’organizzazione parigina questo fenomeno rappresenta per l’Italia una mancata crescita pari all’1,4% del Pil (0,9% la media Ocse). Pesanti le ripercussioni sociali. Un alto tasso di Neet può influire negativamente sulla società anche in termini di un aumento della criminalità. Come in altri Paesi, il fenomeno è più diffuso tra i giovani con bassi livelli di istruzione (52%) rispetto ai giovani più istruiti (31%, che però è il livello più alto dell’Ocse dopo la Grecia).
Il rapporto sollecita quindi a varare con urgenza politiche attive per affrontare la questione. In particolare, il suggerimento principale e’ quello di motivare i giovani su un progetto professionale personale (sull’esempio di quanto si fa soprattutto in Danimarca e negli Stati Uniti). Di sviluppare l’apprendistato. E ovviamente di migliorare l’offerta formativa affinché sia mirata ai bisogni del mercato del lavoro.