ROMA (WSI) – Nei saloni del Lough Erne Resort, l’unico hotel 5 stelle dell’Irlanda del Nord – circondato da laghetti, praterie, campi da golf e (in lontananza però) da mucche al pascolo – Barack Obama si offre col consueto charme agli incontri bilaterali con gli altri leader del G8, incontri che danno lustro più agli altri che a lui e durante il vis-à-vis con Enrico Letta, il presidente degli Stati Uniti chiede «una mano all’Italia» per risolvere le tensioni in Libia. E Letta gli ha risposto, parlandogli di «un piano italiano» per quel paese martoriato.
Uno scambio significativo, il più importante dell’incontro tra i due, che non si conoscevano di persona. Scambio significativo perché segnala un possibile protagonismo italiano capovolto rispetto a quello emerso al G8 dello scorso anno. Dodici mesi fa l’Italia, a rischio di infarto finanziario, era un osservato speciale per tutte le economie occidentali, oggi non lo è più e il presidente degli Stati Uniti arriva ad immaginare un ruolo di prima linea – probabilmente la guida di una missione strategica – in un Paese delicatissimo come la Libia.
Nell’incontro tra Obama e Letta si è parlato, ovviamente, anche della questione che più sta a cuore al capo del governo italiano e il presidente degli Stati Uniti ne ha dato conto più tardi, durante la plenaria tra gli otto capi di Stato e di governo. Ad un certo punto, parlando di disoccupazione e di crescita, Obama ha detto: «Ne ho già parlato con Enrico, il tema è centrale perché ha ripercussioni sul tessuto sociale di tanti Paesi».
Certo, nel clima informale di questi incontri, i leader (maschi) sono tutti senza cravatta, si danno del tu ed è un “must” chiamarsi per nome, scambiarsi gentilezze. Anche il padrone di casa, il premier inglese David Cameron, è stato cortese, lodando la «franchezza» con la quale Letta ha illustrato la situazione italiana.
Una certa franchezza Letta l’ha dimostrata, come lui stesso ha raccontato più tardi, nello spiegare agli altri leader perché in Italia la disoccupazione giovanile abbia raggiunto percentuali altissime, sostenendo che negli scorsi anni «sono stati tutelati i cinquantenni ed è stata fatta una riforma delle pensioni», che ha inevitabilmente danneggiato i più giovani.
Quel passaggio sui cinquantenni è un modo indiretto per criticare la politica dei sindacati, ma in modo talmente soft, che molto difficilmente avrà conseguenze nelle scelte strategiche del governo. Ieri sera, dopo i bilaterali e la prima plenaria, Letta al suo primo G8, ostentava entusiasmo: «E andata bene, molto bene, meglio di così non poteva andare». E ha snobbato, con battute minimaliste, le esternazioni giornaliere di Berlusconi.
Ieri sera cena, centrata sui problemi della Siria, ma anche con accenni alla Libia. Oggi Letta incontrerà il primo ministro libico. Due settimane fa il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, su mandato degli Stati Uniti, è stato in Libia e ha posto le basi di una missione dell’Alleanza, finalizzata all’addestramento delle forze di sicurezza.
Ma «missione strategica» è un’espressione lessicale sufficientemente elastica per potervi comprendere qualcosa di più impegnativo, anche perché in loco la situazione resta esplosiva, vista la presenza di 500 milizie armate e molto inquiete. Nella missione che la Nato sta preparando si immagina anche lo spostamento di truppe armate? La guida della missione potrebbe essere affidata all’Italia? Questioni delicate di cui Letta parlerà con Ali Zeidan, ovviamente tenendo conto delle implicazioni e dei pericoli cui andrebbe incontro una presenza italiana e sicuramente ricordando le parole di uno come Giulio Andreotti, che di certe aree se ne intendeva: «Mai più soldati italiani in Libia».
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