ROMA (WSI) – “Basta con gli ayatollah del rigore, ora si punta alla crescita”. Perchè “di troppo rigore si muore”. E’ quanto ha detto il premier italiano Enrico Letta, intervenendo all’assemblea di Federcasse. I conti, ha però precisato, devono essere “a posto”. Dunque un percorso che permetta all’Europa di avere le finanze pubbliche in ordine ma anche di crescere. Nel caso dell’Italia una sfida di non poco conto, visto che il debito continua a crescere. E se il Pil scende, il rapporto debito/Pil è destinato ad aumentare.
Ma Letta è come al solito, così come la sua intera squadra, ottimista e afferma che l’Italia ha maggiori chance di invertire la rotta e di abbandonare la severa filosofia delle misure di austerity, visto che “nel prossimo anno avrà sia debito che deficit in discesa”.
Il presidente del Consiglio, pur concedendo che fino a quando il rendimento sul Btp benchmark resterà superiore al 3%, l’Italia resterà un Paese vulnerabile dal punto di vista finanziario, snobba del tutto – o fa finta di avere un’amnesia – le previsioni recenti dell’Ocse, che nel suo rapporto ha rivisto in peggio il dato relativo al deficit del 2014, al 2,8%, contro il deficit del 2,3% atteso sei mesi fa.
Non solo questo: l’Ocse prevede un debito-Pil in rialzo al 132,7% nel 2012, dal 127% del 2012, e ancora al 133,2%nel 2014. Solo nel 2015 si assisterà ad una attenuazione al 132,6%. ”
Tuttavia, guardando al semestre italiano di presidenza dell’Ue, Letta gongola e pensa in grande. Non lesina critiche, senza fare nomi, a quelli che chiama appunto “ayatollah del rigore”.
“Sul fronte europeo siamo tirati da alcuni ayatollah del rigore per i quali non sembra mai abbastanza, e sul fronte italiano siamo tirati dai troppi che pensano che basta semplicemente mettersi a fare debito e deficit, e dare soldi, pensando così che il nostro debito ce la farà. È la direzione sbagliata: la stagione del solo rigore va lasciata alle spalle, ma la crescita deve essere basata su conti in ordine, sulla solidità dei conti”.
E ancora: “Dobbiamo rifuggire dalla logica del debito; siamo un Paese che ha grande forza. Siamo stati scolari discoli sul terreno del debito pubblico, ma molto accorti sul terreno del debito privato, ora proprio su questo dobbiamo cercare il rilancio”.
Il premier ha parlato anche di Unione bancaria, che “si può realizzare senza bisogno di cambiamenti dei trattati, può e deve essere completata con strumenti esistenti: entro fine anno bisogna completare percorso. Anche la crisi bancaria a Cipro non ha trovato risposte immediate europee e si è ribaltata sugli spread, non avere avuto strumenti per quella ci fa capire quanto è importante l’unione bancaria, perché essere poco reattivi a crisi è una vulnerabilità che non ci possiamo permettere”.
Ma quand’è che l’Italia potrà considerarsi meno a rischio? Quando, sottolinea Letta, il rendimenti dei BTP decennali scenderà al 3%. “Finché non arriveremo almeno a un tasso al 3% sui bond decennali, fino a che questo non diventa punto di riferimento del sistema, continueremo a vivere una situazione di vulnerabilità”.
Infine per Letta l’Europa corre il rischio di fare un errore fatale: “Dare tutto il peso ad un unico strumento, la Bce, anche se grazie alla guida autorevole di un italiano, Mario Draghi, ha consentito di calmare la crisi”, ha detto, spiegando come la Bce non può fare sviluppo e bisogna “rafforzare la Bei”.
“La Bei può favorire le imprese – ha continuato Letta – con la possibilità di lavorare insieme alle tre grosse casse deposito e prestito, italiana, francese e tedesca che possono essere strumenti di garanzia per le Pmi, se non riusciamo a fare questa battaglia a livello europeo possiamo fare piccole battaglie nazionali ma è tutto più difficile”.
Non poteva mancare una citazione papale. Il primo ministro ha ricordato il monito di Papa Benedetto XVI contenuto nell’enciclica “Caritas in veritate”: “Il denaro non serva solo a creare denaro – ha detto Letta – ma la finanza sia sussidiaria al lavoro e alla crescita delle imprese, la finanza serva a creare lavoro e nuova impresa, serva al benessere dei territori affinchè in questi si viva meglio”.