Con l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti abbiamo cercato di capire quali sono i problemi che condizionano l’Europa alle prese con l’ascesa dei partiti populisti e la forza della globalizzazione
Prof. Tremonti, cosa dobbiamo attenderci dalle prossime elezioni europee? Quali equilibri usciranno dalle urne?
“Come dicono gli inglesi ‘Fare delle previsioni soprattutto quando queste hanno per oggetto il futuro è piuttosto complicato’. Comunque, grosso modo, per quello che si dice o si sente dire in giro, non dovrebbero esserci grandi cambiamenti. E’ di moda parlare di fake news: una di queste è stato per esempio quella diffusa ad arte dai Palazzi sulla possibile vittoria degli estremisti. L’esperimento è iniziato con l’Olanda: il terrore per l’ondata nera dell’olandese Wilders che, se non sbaglio, prese il 13% dei seggi. La notizia era falsa in sé, ma vera nel risultato voluto: creare allarme prima del voto. Più o meno lo stesso si è verificato in Svezia e in Germania. Più in generale si tratta di risultati che non portano alla vittoria degli estremisti, ma certo indeboliscono i partiti tradizionali. Un altro punto, e non marginale, è il fatto che tutte queste forze non solo non hanno grandi possibilità di sfondare nei loro Paesi, ma hanno grandi probabilità di litigare tra loro. Come dice il nome stesso: chi è nazionalista è ‘nazionalista’ e quindi è rivolto a sé, più che per gli altri”.
Quali sono i problemi dell’Europa che hanno portato alla situazione attuale? È stata l’austerity a favorire l’ascesa dei partiti populisti?
“È così, ma non è solo così. La crisi è generale e riguarda tutte le democrazie europee, per diverse cause. La democrazia in Europa per mezzo secolo, dal dopoguerra si è basata su tre pilastri. Primo, la dimensione limitata e l’origine domestica dei problemi che i governi dovevano gestire. Problemi che in effetti potevano essere governati a livello nazionale. Secondo, ideologie strutturate in partiti politici permanenti. Con le parole popolare o laburista, democristiano o socialista, indicavi un sistema di pensiero e di azione basato sul passato e garanzia in ordine al futuro, ai contenuti di programma. Terzo, la spesa pubblica fatta in deficit per acquisire consenso o per ridurre il dissenso. A partire dal dopoguerra i debiti pubblici sono molto cresciuti, in tutta Europa.
Oggi la dimensione e l’origine dei problemi, reali o solo sentititi, è cresciuta e l’origine è esterna. Sono problemi che vanno oltre la forza degli Stati nazione, degli effetti sociali della crisi, alle migrazioni alla paura per la marcia trionfale dei robot.
Più in generale, a partire dal 1992, da Maastricht, in Europa e sull’Europa si sono manifestati 3 fatti, da soli in grado di produrre effetti rivoluzionari. Figurarsi tutti insieme. L’allargamento all’Est Europa non solo ha complicato il meccanismo europeo, ma ha trasformato l’Europa da puro corpus economico in un corpus politico sui generis, ovvero la fabbrica della democrazia post moderna. Negli anni ‘80 nessuno si sarebbe immaginato che l’Europa si potesse occupare della ‘horizontal family’, di diritti che avrebbero imbarazzato anche il decadente imperatore romano Eliogabalo.
Secondo, l’Europa pensava di essere un modello per il mercato globale. In realtà, non è l’Europa che è entrata nella globalizzazione, ma è la globalizzazione che è entrata in Europa, trovandola incantata e spiazzata. Le nostre imprese, gravate da regole infinite e demenziali sono costrette a competere con imprese meno regolate.
Terzo, la crisi non era prevista. I Trattati sono come i matrimoni, fatti nella buona e nella cattiva sorte. Il Trattato-matrimonio europeo è stato fatto solo per la buona sorte, quella cattiva era esclusa da una ideologia che era tutta positiva e progressiva. Nei Trattati europei non trovi la parola crisi e questo ha generato molta della mala gestio che è stata fatta sulla crisi, a partire dal caso della Grecia, per arrivare al golpe finanziario fatto contro l’Italia, per usare i nostri capitali per ‘salvare’ le banche tedesche, francesi ecc. in perdita sulla Grecia. Quando il Fondo Monetario Internazionale dice che i 200 miliardi di euro della Grecia non sono andati ad Atene e quando la Corte Europea sentenzia che sulla Grecia sono stati fatti crimini ‘sociali’, dalla sanità alla disperazione, prova quanto detto sopra”.
Quale è il ruolo dell’Italia in Europa?
“L’Italia è comunque un Paese fondatore. Negli ultimi anni ha perso molta della sua forza economica. In troppi casi la proprietà industriale italiana è stata ceduta all’estero e proprietà significa strategia, tesoreria. Se anche resta un impianto ma va via la proprietà non è tutto come prima, è cambiato molto. L’Italia si è prestata, con la sua quinta colonna interna ubicata nei Palazzi, alla chiamata dello straniero. Ogni riferimento al governo Monti è qui puramente casuale. Se la ragion d’essere di un siffatto governo era l’abisso era chiaro che poi questo, per via di panico e di mala gestio, effettivamente si realizzasse.
Del resto come diceva Nietzsche, quando guardi un abisso, anche l’abisso ti guarda. Noti che ancora nel maggio del 2011 nelle considerazioni finali della Banca d’Italia si scriveva: ‘la gestione del pubblico bilancio è stata prudente.
Le correzioni necessarie in Italia sono inferiori a quelle necessarie negli altri Paesi europei’. E lo stesso a Bruxelles il mese dopo. Poi è successo qualcosa.
Per semplificare, un tempo i golpe si facevano con i carri armati, occupando le radio: ‘La Tecnica del colpo di stato in stile Malaparte’. Oggi si fanno in sala cambi con gli spread. Date queste basi storiche non ci sono ragioni per negare tutti i successivi errori politici. Guardiamo ad esempio al debito pubblico: nel 2008 era al 100%, nella primavera del 2011 era ancora inferiore al 116% di fine 2011, ma in ogni caso – la gestione del pubblico bilancio è stata “prudente” – non è stata la spesa pubblica ad essere aumentata in assoluto, ma è che con la crisi è sceso il Pil, riducendo il denominatore e così deteriorando il rapporto debito/Pil. Oggi siamo al 132%. Pur con il Pil che è cresciuto e il costo del denaro che è andato a zero, oggi fa un po’ ridere sentir dire che c’è stata l’austerity!”
Che cosa dovrebbe fare il governo italiano per rilanciare la congiuntura?
“Stalin non ha mai detto che l’andamento dell’economia dipendeva dal governo. In positivo o in negativo parlava dell’eroico sforzo della classe lavoratrice o del cattivo andamento delle stagioni. In realtà i governi possono fare, se vogliono, molto male. Da ultimo ci sono riusciti. Ma nemmeno possono fare troppo bene. Se l’economia è globale, e lo è certamente una economia come la nostra, ovvero un’economia di trasformazione, molto dipende in positivo e negativo dal suo andamento a livello globale.
Detto questo un governo deve fare o non fare. Fare: nel ‘94 ho detassato chi investiva tanto in beni fisici quanto in beni materiali, chi assumeva e chi si quotava in Borsa. Quella legge non era solo innovativa ma era anche molto semplice. Quanto è venuto dopo, pur apprezzabile, è molto complicato. Cosa non fare: troppe leggi. Il codice degli appalti – il nuovo codice degli appalti – è lungo più di un chilometro lineare. La parola più ricorrente che c’è dentro è Anac (Autorità nazionale anticorruzione, ndr). Presume che tutti siano corrotti, salva la naturale e liberale facoltà di provare il contrario”.
Lei è stato uno dei primi a criticare la globalizzazione. Ritiene che la Cina possa rappresentare un pericolo per l’Europa?
“Nel 1995, quando tutti cantavano le magnifiche e progressive sorti della globalizzazione, dopo il Wto fatto nel maggio del 1994, ho scritto un libro con questo titolo: ‘Il fantasma della povertà’. Era il lato oscuro della globalizzazione che si apriva: avremmo esportato capitali, ma importato povertà.
Ma da noi i capitali che andavano in Asia, alla ricerca di mano d’opera a basso costo, perdita dei posti di lavoro con il costo della vita che rimaneva uguale a prima. Noto per inciso che già allora in quel libro si parlava delle migrazioni determinate dalla forza di attrazione delle immagini trasmesse dalle nostre televisioni. L’idea di conservare per un po’ i dazi non era per fermare il mondo, ma per comprare tempo e difendere le nostre imprese, i nostri lavoratori, per dargli tempo di adattarsi. Vede, il vecchio mondo, il mondo della guerra fredda, era stabile perché era immobile. Il mondo della globalizzazione totale (1992 – 2016) è stato stabile perché era mobile. Oggi nella geopolitica del mondo tutto è in cambiamento. E’ in atto un confronto tra masse continentali.
La storia che doveva essere ‘finita’, la fine della storia di Fukuyama, si è rimessa in cammino con il carico di interessi e la geografia fa la sua parte. Tra le masse continentali c’è comunque ancora quella europea e pur nelle presenti criticità non si può escludere, si deve anzi sperare, nella sua riemersione. Certo un’Europa diversa da questa. Guardi e confronti la foto del Trattato di Roma (1957) con una family foto europea di oggi. La differenza non è solo tra bianco- nero e colori, è nelle facce degli uomini. Quelli erano uomini che avevano fatto la guerra, l’esilio, la prigione o che si erano nascosti nelle biblioteche. Quelli di oggi sembrano una forza vendita in gita premio.
Il giorno prima del Trattato di Roma fu chiesta la benedizione a Dio onnipotente. Oggi servirebbe qualcosa di simile”.
L’intervista integrale è stata pubblicata sul numero di gennaio del magazine Wall Street Italia