Evasione fiscale, dalla farsa all’indifferenza: i rischi di intermediario e professionista
Evasione fiscale, dalla farsa all’indifferenza: i rischi di intermediario e professionista
Sono passati quasi venti anni dall’ultima grande riforma fiscale del marzo del duemila, quando si è voluto rivoluzionare la vecchia e ormai superata disciplina penale tributaria della legge da tutti conosciuta come “manette agli evasori” .
Una legge, quella vecchia dell’82, tanto ipocrita quanto contraddittoria. Mentre parlava di manette agli evasori ad ogni piè sospinto, puniva con una mera “contravvenzione” cioè con arresto e ammenda, molto meno di un ladro di polli che magari finiva effettivamente in galera, qualunque fosse l’imponibile sottratto alla tassazione.
In pratica una farsa!
Infatti, la legge del 1982, rappresentava una minaccia solo nell’immaginario collettivo in quanto, per come appena detto, puniva con arresto o ammenda l’omessa fatturazione, la omessa annotazione di corrispettivi o addirittura la omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e dell’iva, qualunque fosse l’ammontare dell’imponibile sottratto alla tassazione diretta e/o indiretta.
Con sanzioni simili (praticamente pari ad un divieto di sosta, un eccesso di velocità etc.), la stessa legislazione – vissuta per quasi venti anni – rappresentava un invito ad evadere il fisco.
Con la vecchia disciplina, le uniche ipotesi delittuose – punite con reclusione e multa – erano riconducibili alle frodi fiscali con particolare riguardo elle false fatturazioni (emissione e/o annotazione) e alle ritenute alla fonte operate e non versate dal sostituto d’imposta (datore di lavoro).
Riforma fiscale tributaria del 2000
Con la riforma del duemila invece si è cercato di criminalizzare e colpire gli autori di un concreto danno erariale, tralasciando quelle condotte considerate prodromiche all’evasione fiscale – definite fattispecie di reato a consumazione anticipata – dall’altro sono state accentuate significativamente le sanzioni penali pur in presenza di identiche condotte, passando dalle mere contravvenzioni (arresto e ammenda) alle ipotesi delittuose (reclusione e multa).
Con questa metamorfosi di sistema si è data l’impressione di voler fare sul serio, suscitando tante aspettative nel popolo delle partite IVA o, almeno per quelle che le tasse le pagano davvero.
Frode fiscale
Se in passato la frode fiscale partiva dall’annotazione in contabilità del falso documento fiscale (registrazione della fattura falsa nel registro degli acquisti), oggi, con la riforma del 2000 (ex art.2, d.lgs nr.74/2000), occorre qualcosa in più, significando che la stessa fattura deve essere compresa fra gli elementi negativi della dichiarazione dei redditi o nel conto economico del bilancio di esercizio, rendendo penalmente irrilevante la semplice registrazione in contabilità delle fatture per operazioni inesistenti.
In tal modo, viene concesso al contribuente un tempo decisamente più lungo nell’esercizio di un proprio diritto, quale quello di ravvedersi dal commettere un crimine di particolare rilevanza penale, punito con il carcere da un anno e sei mesi a sei anni. In altri termini, sia pure in presenza di una remota possibilità di un “ravvedimento operoso” da parte del contribuente, la rilevanza penale scatta al momento della dichiarazione dei redditi presentata a fine esercizio. Definisco remota la possibilità del “ravvedimento” ove si considera che, comunemente, la “frode fiscale” viene pianificata e concepita nell’ambito di una organizzazione , con l’intento di creare un rapporto economico fittizio, esistente solo sulla carta, attraverso la falsa rappresentazione della realtà dove, da una parte c’è un imprenditore che emette il documento falso e dall’altra un altro imprenditore che utilizza lo stesso documento al fine di abbattere il carico fiscale.
La quotidiana cronaca giudiziaria inoltre, ci ricorda che la documentazione di costi fittizi viene praticata con particolare frequenza, anche quando si tratta di percepire aiuti pubblici (nazionali o comunitari) per iniziative imprenditoriali nel Mezzogiorno d’Italia – , dove le sanzioni – pressoché identiche, ex art. 640 bis del codice penale – sembrano spaventare solo i passeri.
Alla luce dell’imperversare del grave fenomeno delittuoso, attraverso il quale l’economia sana risulta fortemente danneggiata, la strategia di contrasto che il fisco ha messo in campo sembra perdente, laddove la legalità risulta compromessa, soprattutto con riferimento al problema delle “false fatturazioni nella frode fiscale”.
Un cambio di passo sembra necessario, forse è giunta l’ora di ridurre la tassazione, così come del resto stanno già facendo i principali Paesi dell’area euro.
Nuovo spesometro
Proprio oggi leggo che sono in arrivo nella disponibilità della “banca dati” dell’Anagrafe tributaria oltre venti miliardi di dati, notizie e informazioni per meglio contrastare l’evasione fiscale.
Cose grosse verrebbe da dire, ma nella realtà sappiamo che si rivelerà la solita bufala.
Con un giro di false fatturazioni in crescita, riusciamo a capire che l’unico modo per contenere questo fenomeno è quello di “controllare le partite IVA?”
Dobbiamo partire dal principio che nove volte su dieci le fatture false le emette chi, pur essendo titolare di Partita IVA (indispensabile per emettere una fattura), non ha istituito le scritture contabili e non presenta alcuna dichiarazione.
Queste fattispecie di contribuenti fanno parte dell’esercito di soggetti titolari delle cc.dd. “partite IVA morte”, ovviamente solo per il fisco ma che nella realtà lavorano a tutto spiano.
Sono le stesse che pianificano le “Frodi carosello”, comprando sul mercato dell’Unione Europea e vendono sul territorio nazionale con il 18% di sconto (sotto costo) ad altri operatori economici che, impunemente, con concorrenza sleale sul mercato interno, fanno chiudere operatori economici onesti.
Niente, chiacchiere in libertà: sono cose che vado predicando da decenni!
Lunga vita alle partite IVA morte che nessuno controlla!!!
Alert per intermediari e professionisti