(WSI) – Molti italiani vivono nell’illusione che il calvario dell’Alitalia sia soltanto un brutto sogno; che alla fine un gigante buono munito di bacchetta magica risanerà d’incanto le piaghe della «compagnia di bandiera» alla quale tutti sono un po’ affezionati, anche se mugugnano volentieri contro i suoi disservizi. E che, con qualche acrobazia contabile da una parte e qualche piccolo sacrificio dall’altra, tutto continuerà come prima.
In realtà, quello del trasporto aereo è un mercato dalla competizione sempre più feroce, nel quale non esistono, purtroppo, né giganti buoni né bacchette magiche; del resto, se il sospirato «piano industriale» è stato rimasticato così a lungo è perché risulta veramente difficilissimo metterne a punto uno anche solo vagamente soddisfacente. L’Alitalia è stata protetta troppo a lungo, con un misto di arroganza e di incoscienza, cosicché i suoi problemi si sono incrostati e accavallati, tanto da fare di questa grande impresa una vera e propria antologia di inefficienze.
L’Alitalia utilizza ben nove tipi diversi di aeromobili (contro i quattro o cinque di gran parte dei concorrenti) il che moltiplica i costi di manutenzione e addestramento. E’ articolata su due basi operative, Fiumicino e Malpensa, mentre i suoi concorrenti si concentrano in un solo aeroporto; il che fa sì che ci siano troppi dipendenti negli uffici, a tutti i livelli, tanto che appena un terzo dei dipendenti presta servizio sugli aerei, uno dei tanti record negativi dell’impresa. Un sistema bizantino di gratifiche, turni di riposo e rimborsi spese rende rigida la gestione del personale; anche per questo, il numero delle ore volate dai piloti dell’Alitalia è inferiore di un quarto-un quinto a quello dei suoi maggiori concorrenti. E l’elenco delle cose che non vanno potrebbe continuare.
Se si vuole davvero la sopravvivenza e il rilancio dell’Alitalia, è necessario partire dal presupposto che il bisturi deve essere affondato molto rapidamente e molto profondamente. E non solo sul fronte arcinoto degli esuberi, sui quali a torto si concentra l’attenzione, ma sulla struttura stessa e sul modo di operare dell’impresa, che deve essere radicalmente mutata.
L’affondamento del bisturi è, però, una premessa, non una soluzione. Come non sarebbe sicuramente una soluzione un piano essenzialmente contabile che si affanni a far quadrare i conti sulla carta a base di tagli. Occorre invece un progetto per il futuro che non sia la brutta copia di quanto stanno facendo i concorrenti, tutti in difficoltà più o meno gravi. Tale progetto dovrà rispondere almeno a quattro interrogativi: come mantenere, e se possibile recuperare, quote di mercato in Italia, quanti e quali altri mercati servire, a quale tipo di prodotto (voli a basso costo, voli «di qualità») dare la precedenza, quali alleanze concludere con le grandi compagnie estere.
Se manca questa dimensione, è inutile un tavolo di trattative dedicato principalmente alla ricerca di un compromesso sul numero dei posti di lavoro da eliminare; la crisi, soltanto esorcizzata, riesploderebbe tra pochi mesi.
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