Il tetto al disavanzo pubblico, la cui entità non deve superare il 3% del reddito nazionale, è una regola che non nasce con il trattato di Maastricht, bensì in Francia, vari anni prima, durante la presidenza di Francois Mitterand. Un funzionario del ministero del Bilancio, Guy Abeille, fu incaricato di elaborare un principio che stabilisse “una regola semplice e utilitaristica” che consentisse il governo di giustificare un freno alla spesa pubblica. Era il 1981, e la Francia era reduce da una svalutazione monetaria, dagli strascichi della crisi petrolifera e da un’inflazione a doppia cifra. La regola del 3% nacque così: “in meno di un’ora, senza l’assistenza di una teoria economica”. E’ quanto racconta lo stesso Abeille in un’intervista rilasciata a Vito Lops sul Sole 24 Ore.
L’aspetto che accomuna il pensiero di Abeille con quello degli euroscettici è che concordano sul fatto che non esistano basi scientifiche tali per cui il 3, il 2 o un altro indicatore del rapporto fra deficit e Pil esprima qualcosa sulla qualità della politica economica e sulla solvibilità di un Paese. La regola, insomma, è servita e serve ancora per sancire il principio (ampiamente condiviso) che il governo non dovrebbe spendere senza limiti. La decisione del 3%, però, fu puramente simbolica: “Un numero, magico, quasi sciamanico”, si pensi alle “Tre grazie, ai tre giorni della resurrezione”.
Entrando nel merito, Abeille, ha affermato che “il deficit/Pil è un rapporto che può al massimo servire da indicatore, ma in nessun caso può essere una bussola perché non misura nulla, non è un vero criterio. Ciò che conta è ottenere un valore che calcoli la solvibilità di un Paese, la capacità di rimborso del debito da un’analisi ragionata”.
Per questo, Abeille ha suggerito di cambiare la regola da egli stesso ideata con un tetto agli interessi pagati dallo Stato e ai titoli di stato che possono essere emessi, in rapporto non più con il reddito nazionale, un flusso, bensì con le risorse nazionali, uno stock. “In questo modo si replica il principio di solvibilità tipico di un’azienda”.