Economia

L’innovazione NON è una strategia

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È opinione comune che l’innovazione sia un modo per migliorare le prestazioni aziendali, in altri termini che sia una precisa strategia. La convinzione discende probabilmente dai successi di aziende tecnologicamente avanzate che, grazie all’uso di esse, sono riuscite a realizzare prestazioni spettacolari.
Vari osservatori, e recenti tendenze di mercato, contraddicono questa convinzione, almeno la sua generalizzazione.

Clayton Christensen ad esempio, professore all’Harvard Business School e autore del best seller “The Innovators’ Dilemma” dove tratta il tema dell’innovation disruption (l’innovazione che crea rottura con il passato), in una intervista di qualche mese fa fu molto chiaro a proposito: “Quando si pensa a come prevedere disruption è cruciale ricordare che non è la tecnologia di per se che crea una “rottura” col passato, l’innovation disruptive si riferisce ad una strategia che impiega una tecnologia, la tecnologia di per se non è ‘disruptive’ ”.

A supporto di questa tesi illustrava, nella stessa intervista, il caso della tecnologia dei transistor. La RCA, leader nella tecnologia delle valvole, acquistò la licenza dei transistor dai laboratori Bell e spese grosse somme di denaro per cercare di commercializzarli. Purtroppo lo considerarono sempre come un problema tecnologico e cercarono di migliorarne le prestazioni rispetto alle valvole. Conseguentemente nelle mani di RCA, e attraverso la loro strategia, i transistor non furono disruptive. Fu Sony che vide nei transistor la possibilità di nuovi usi dove le prestazioni delle valvole non erano richieste e non vi erano alternative per i consumatori. Così Sony iniziò a sviluppare le radio a transistor, creando un nuovo mercato e successivamente migliorando la tecnologia fino a quando divenne comparabile e poi superiore a quella delle valvole.

Sul fronte del mercato il New York Times recentemente riporta un dato, supportato da alcune ricerche, ormai sotto gli occhi di tutti: l’uso massiccio di tecnologie, ormai in ogni settore industriale, non ha fermato la diminuzione generalizzata di produttività, altro parametro indice dello stato di salute delle aziende. E questo nonostante tutti, da questa come dall’altra parte dell’oceano, non fanno altro che dichiarare “investimenti in innovazione”.

Gli addetti ai lavori del settore dell’ICT, d’altronde, sanno benissimo che questa tecnologia ha la caratteristica “garbage-in garbage-out” ovvero se si introduce immondizia non può che uscirne immondizia; detto in altri termini non “crea” nulla ma si limita a trasformare. Bella la battuta, a tal proposito, di un ex vertice di IBM che alla domanda se un’azienda che va male avesse investito in tecnologia avrebbe migliorato le sue performance, rispose: certamente, fallirà molto prima e più velocemente che senza.

Se allora è ormai evidente sperimentalmente, agli studiosi e financo alla cultura popolare del settore, che ciò che fa la differenza non è la tecnologia di per sé, ma l’uso che se ne prevede di fare all’interno della strategia, perché non si ribalta questa prospettiva invece di parlare solo di “innovazione”?

Perché tutti i piani strategici, delle grandi come delle piccole aziende, le richieste degli investitori, a debito e in equity, gli accordi tra associazioni di categoria e banche parlano solo di ricerca e stimolo all’innovazione e mai di stimolo a strategie che, usando le tecnologie, mirino ad aumentare i flussi di cassa (oggi unico parametro significativo del benessere aziendale)?

Forse perché ignorano questi aspetti, la strategia dell’impresa, e gli strumenti per descriverla e giudicarla, ma allora non è il caso spostare il dibattito su questo terreno invece che parlare genericamente, e sterilmente, di innovazione?