Come si evince dal grafico sottostante, negli ultimi mesi le emissioni societarie sono andate alla grande. Questo boom di transazioni in cui l’acquirente (investitore) incontra il venditore (emittente) prova che il mercato primario è in buona salute e che la liquidità abbonda. Tuttavia, fin dal periodo dalla stretta creditizia si fa un gran parlare della diminuzione della liquidità nel segmento corporate a causa della ridotta capacità degli intermediari di acquistare obbligazioni. Qual è la verità?
Dall’inizio della crisi, gli intermediari finanziari che forniscono liquidità immediata agli obbligazionisti hanno subito un forte stress. Perdite su titoli, una gestione più cauta e un capitale inferiore ma più oneroso hanno ridotto la quota di market making nei bilanci di tali enti. Lo si vede bene nel prossimo grafico, che riporta i dati della Federal Reserve sulle posizioni detenute dai maggiori dealer in titoli corporate con scadenza superiore a 1 anno.
Sulla base di tali dati alcuni osservatori sostengono che la capacità dei trader di assumere rischio è diminuita dell’80% circa, e che, di conseguenza, la liquidità del mercato corporate si è notevolmente ridotta, proprio perché è venuta meno un’importante fonte di capitale per gli investimenti.
A noi sembra un modo semplicistico per spiegare agli investitori che cosa sta succedendo. Il prossimo grafico mostra un dato molto più rilevante rispetto alle dimensioni dei bilanci dei dealer, ovvero il volume storico effettivo delle negoziazioni sul mercato corporate secondario, un indicatore attendibile della liquidità reale anziché di quella ipotetica.
In effetti il giro d’affari non è crollato dell’80% come le scorte degli intermediari, prova ne sia che i volumi giornalieri sono gli stessi del 2007. È inoltre interessante notare la riduzione della percentuale rappresentata dalle banche di investimento e dalle banche-ombra; è quindi probabile che le transazioni fra veri investitori finali siano notevolmente aumentate tanto in termini reali quanto in percentuale. [ARTICLEIMAGE]
Nel 2007 i mercati erano estremamente liquidi. Prevalevano gli investitori con un orizzonte temporale breve che utilizzavano capitale di vigilanza a basso costo per assumere un enorme rischio di credito. Le operazioni venivano effettuate direttamente dalle banche di investimento per conto proprio o tramite depositi di titoli da vendere a veicoli come CDO e CLO dopo il lancio.
Quest’attività è crollata. In un contesto più rigido per il capitale, le scorte di tali enti sono chiaramente diminuite, e di molto anche. Tuttavia, il market making e le operazioni sul mercato corporate restano un’importante fonte di reddito per gli intermediari finanziari.
Nonostante il minor impiego di capitale, il volume complessivo degli scambi secondari è tornato ai livelli del 2007, vale a dire che c’è una maggiore efficienza e che il turnover unitario delle scorte è aumentato a dismisura, come sotto illustrato. La crisi finanziaria ha modificato la propensione al rischio e la capacità di banche e investitori di assumere rischi.
La crisi finanziaria ha anche comportato un significativo e fondamentale cambiamento nel funzionamento dei mercati finanziari. Il riciclo del capitale (basato sulla non corrispondenza del rischio assunto dalle banche che ha causato la crisi del credito) tramite depositi a breve per erogare finanziamenti a lungo termine che dominava la scena nel 2007 sta ora lasciando il posto a un sistema nuovo e (speriamo) più stabile in cui gli emittenti si finanziano sul mercato corporate. Le banche concedono sempre meno prestiti, e i mercati finanziari hanno tentato di ovviare al problema, prime fra tutte le piazze obbligazionarie.
Dal momento che ai finanziamenti bancari si sono sostituiti prestiti obbligazionari con scadenze più lunghe, le discrepanze in termini di scadenze e il rischio di credito del sistema bancario si sono ridotti, in quanto assorbiti dagli obbligazionisti. L’investitore non solo riceve un premio per essersi assunto un rischio, ma deve anche calcolare il premio di liquidità da ricevere al di là del rischio di credito assunto e della scadenza.
Tale premio varierà nel corso del ciclo economico così come gli altri fattori che determinano il rendimento, ovvero tassi di interesse e di credito. Il premio aumenta quando i mercati del credito sono deboli e la liquidità scarseggia (come nell’autunno 2009), mentre diminuisce quando le prospettive sono buone e la liquidità abbonda (come nella primavera 2007); tutti gli investitori dovrebbero tenerne conto quando considerano questa asset class.
Occorre innanzitutto capire in quale fase del ciclo della liquidità ci troviamo e sapere che nel 2007 la liquidità perfetta e le ingenti scorte degli intermediari hanno portato al crollo del segmento corporate, mentre l’illiquidità dell’inverno 2008 ha creato una serie di opportunità per acquistare approfittando di premi di liquidità più elevati. Gli ultimi 5 anni ci hanno insegnato che, nel caso delle obbligazioni societarie, una situazione di liquidità perfetta può preludere a tempi peggiori che non un contesto di illiquidità.
La liquidità del mercato corporate è elevata o ai minimi storici? Sembra che i volumi giornalieri del mercato primario si attestino a livelli record, mentre quelli del mercato secondario, seppur cresciuti in misura minore, non siano poi così esigui come risulterebbe da una semplice analisi delle scorte degli intermediari. In un contesto finanziario così sensibile ai recenti sviluppi economici è difficile calcolare quale dovrebbe essere la liquidità media giornaliera. Tuttavia, la liquidità totale di tutte le transazioni, sia sul mercato primario che su quello secondario, suggerisce che il mercato corporate viene sempre più spesso preferito alle banche come veicolo di finanziamento di prima scelta.
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