ROMA (WSI) – In questo miserabile paese, se c’è una cosa che rimane abbondantemente sempre sui livelli di massimo allarme, questo è proprio lo spread dei neuroni rispetto ad un livello di media intelligenza umana e sapere economico, del tutto latente.
Nelle settimane scorse, sulla stampa, si è letto che, siccome lo spread tra Btp e Bund scende, questo, comporta automaticamente un calo del costo degli interessi che lo stato paga sul debito pubblico; avallando, quindi, la bontà delle manovre varate dai vari governi in questi anni, attribuendone meriti all’azione dei vari governi, da quello Monti, fino a Letta.
A parte il fatto che questo costituisce un falso storico, ciò che ha consentito la diminuzione dello spread, va ricercato principalmente nelle manovre delle banche centrali e soprattutto della BCE, anche attraverso la minacciata (per ora) possibilità di intervenire sul mercato attraverso le OMT.
Perchè, si sa, la speculazione può fare ben poco, contro la potenza di fuoco messa in campo da una banca centrale, benché giochi con un braccio legato dietro la schiena. Ad ogni buon conto, tornando al tema di fondo, va precisato che un calo dello spread, non significa automaticamente un calo del costo al servizio del debito.
Infatti, lo spread, altro non è che una variabile che misura la differenza tra il rendimento del Btp decennale e il Bund tedesco, anche quest’ultimo soggetto a variare in ragione a una moltitudine di variabili economiche e di mercato.
Ne consegue che se diminuisce lo spread, ma al tempo stesso il rendimento del Bund tedesco aumenta – come in effetti sta avvenendo- , l’aumento del rendimento del Bund vanifica (in tutto, o in parte) il ripiegamento dello spread. Se all’aumento del rendimento del Bund non si contrappone un calo dello spread più che proporzionale, ne deriva che il costo del debito aumenta, anziché diminuire.
Certamente monitorare l’andamento dello spread tra BTP e Bund è utile per avere un’idea di come il mercato quantifichi il maggior rischio del debitore Italia in relazione alla Germania, ma se si ragiona di spesa per interessi ed effetti sul deficit del bilancio dello Stato è bene considerare il costo effettivo a cui si finanzia il Tesoro, non il maggior costo rispetto alla Germania.
E’ anche vero che una riduzione non temporanea dello spread tra i rendimenti dei titoli di Stato dovrebbe comportare una riduzione anche del maggior costo dei finanziamenti per gli emittenti privati italiani rispetto a quelli tedeschi, con ciò riducendo il gap di competitività.
Concludendo, quando si fanno i conti sulla spesa per interessi quello che conta è il costo effettivo del debito, non la differenza rispetto al costo di altri Stati. Bene dunque guardare allo spread, ma meglio evitare di credere (o far credere) che il suo calo comporti sempre e comunque un risparmio nella spesa per interessi.
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