Lo Spread che deve maggiormente preoccupare l’Italia non è quello tra Btp e Bund decennali, bensì quello tra la pressione fiscale da noi e altrove in Europa. C’è infatti una differenza tra i carichi fiscali pari a ben 24,3 miliardi. Sono i calcoli di Confartigianato elencati in un rapporto presentato oggi alla propria assemblea.
Nonostante il fardello del fisco, gli artigiani e le piccole imprese si sforzano di agganciare la ripresa con numeri di tutto rispetto rispetto alla concorrenza, secondo l’associazione. Nel 2016 sono nate 319 imprese artigiane al giorno, per esempio. Sempre lo scorso anno, le piccole imprese hanno esportato nel mondo 117,4 miliardi di prodotti (1,5 miliardi in più rispetto al 2015). In innovazione i piccoli imprenditori spendono 5 miliardi l’anno, 6.600 euro per addetto (il 6,5% in più rispetto alla media di tutte le imprese).
Quanto ai livelli di produttività, in 3 anni le piccole imprese manifatturiere hanno fatto meglio delle grandi imprese italiane e delle piccole aziende tedesche: la produttività è aumentata del 10,7%, rispetto al +1,6% delle grandi aziende italiane e al +0,8% delle piccole imprese tedesche. Ma a fronte di questi primati positivi delle piccole imprese c’è un’Italia di record negativi che rallenta la loro corsa verso la ripresa.
A intralciare il cammino dei piccoli imprenditori sono le zavorre monitorate da Confartigianato in 13 ambiti e che confinano l’Italia al 50esimo posto della classifica mondiale per le condizioni favorevoli a fare impresa. A cominciare dal fisco: nel 2017 il carico fiscale arriva al 43% del Pil. In pratica paghiamo 24,3 miliardi di tasse in più rispetto alla media europea. Soltanto la Francia ci supera con il 47,5%. Per le piccole imprese il prelievo maggiore si registra nei Comuni più inefficienti: tra Imu, Tasi e addizionale Irpef un piccolo imprenditore paga 4.373 euro l’anno.
Il presidente di Confartigianato ha aggiunto che “le nostre imprese credono nel nuovo. Basti dire che spendono in attività innovative una cifra superiore alla media di spesa del totale delle aziende. Gli imprenditori corrono, ma il Paese non li segue. L’Italia è al 50esimo posto nel mondo per condizioni favorevoli a fare impresa, il carico fiscale al 43% del Pil. Paghiamo 24 miliardi di tasse in più rispetto all’Ue. Il cuneo fiscale sul lavoro è al 47,8%“.
Secondo la confederazione degli artigiani “ridurre il carico di tasse su imprese e lavoro è possibile. Con misure di revisione della spesa pubblica improduttiva; con il riordino delle spese fiscali, eliminando quelle non più giustificate da esigenze sociali ed economiche o quelle che duplicano programmi di spesa pubblica; con il contrasto all’evasione fiscale. Ma soprattutto favorendo la compliance, l’adempimento spontaneo.
“Su questo versante molto è stato fatto negli ultimi anni – dice il report – “a favore delle grandi imprese ed ancora troppo poco per quelle di piccole dimensioni. In questa ottica apprezziamo la scelta del Governo di superare gli studi di settore come strumento di accertamento e di sostituirli con un indicatore sintetico di affidabilità al quale collegare elementi di premialità. Nel piano di riduzione dell’abnorme carico fiscale che grava sulle imprese, attendiamo misure annunciate e non ancora realizzate: l’aumento della franchigia Irap, la deducibilità completa dell’Imu pagata sugli immobili produttivi, l’accorpamento Imu e Tasi. Come pure va completata con urgenza la riforma della fiscalità della piccola impresa, permettendo il riporto delle perdite ai soggetti in contabilità semplificata”.