Colonne d’Ercole
Oltre lo stretto di Gibilterra alla ricerca di “fondamentali” dell’economia e della finanza migliori (o uguali?)
È di oggi la notizia del prolungamento e allargamento delle misure di quantitative easing, orientate allo stimolo dell’economia reale, da parte della BCE. Al proseguire di tali misure, che neppure negli Usa che hanno iniziato tali pratiche ben prima di noi hanno totalmente raggiunto l’obiettivo, c’è da chiedersi se saranno realmente efficaci.
In termini più generali la domanda che sorge legittima è: la BCE sta indirizzando il vero problema all’origine del mancato sviluppo o causa, inconsapevolmente, altro (ad esempio l’ipertrofia della finanza la quale ormai è fortemente disaccoppiata dall’economia reale, come il suo sviluppo, coincidente con la crisi di quest’ultima, sembra dimostrare)?
Una parziale risposta, a mio giudizio, sembra fornirla, sorprendetemente, la stessa BCE con un suo rapporto recentemente emesso dal titolo “Survey on the access to Finance of Enterprises in the euro area (da aprile a settembre 2015)”.
Già dall Overview si legge che: “L’accesso alla finanza è considerata la minore delle preoccupazioni delle PMI dell’area euro mentre la ‘ricerca di clienti’ rimane quella dominante”. A pagina 10 questo dato viene confermato anche per le grandi aziende.
Un secondo spunto di riflessione viene fornito a pagina 15 quando si parla di uso della finanza. Il 37% delle PMI europee la usa per investimenti fissi (impianti, attrezzature, proprietá) e solo il 14% per lo sviluppo e lancio di nuovi prodotti. Una nota negativa riguarda l’Italia dove invece il maggior uso è per il finanziamento del circolante.
Un terzo, e ultimo, spunto viene dalla lettura del paragrafo a pagina 19 a proposito della necessità di finanza esterna che sembra essere minore dell’offerta.
Cosa si può dedurre da queste affermazioni?
Proverò a farlo da un punto di vista inconsueto rispetto a quello che viene proposto da tutti i commentatori economici e finanziari.
Sul primo punto sembra esserci un problema di “noia” da parte del mercato nei confronti della stragrande, non tutta, offerta di prodotti e servizi. Se le aziende, grandi e piccole, non “trovano clienti” non è tanto ( o non solo), a mio giudizio, perchè non vi sono soldi in giro, altrimenti non si spiegherebbe il successo commerciale di tante ( purtroppo ancora troppo poche) aziende. Allora l’altra è unica conclusione è che fanno cose che non interessano, o interessano sempre meno, il mercato. Pompare denaro dentro queste imprese, se il problema è questo, non servirà dunque a nulla.
Sull’uso della finanza c’è da rilevare la scarsa capacità italiana di fare investimenti fissi ma anche, più in generale, di finalizzarli a quei “nuovi prodotti” che sono estremamente necessari. Il gap tra le due voci potrebbe indicare che l’investimento fisso è (troppo spesso) finalizzato a perpetuare la “fisionomia strategica” dell’impresa e non a cambiarla, come sarebbe necessario per risolvere il problema del trovare clienti.
Sull’abbondanza di finanza rispetto alla domanda siamo di fronte, a mio giudizio, al fenomeno che citavo all’inizio: il disaccoppiamento della finanza dall’economia, ovvero i soldi dati alla finanza non arrivano all’economia. Ma vi è anche da aggiungere che vi è una incapacità di proporre occasioni di investimento da parte delle aziende, da un lato, e l’incapacità di comprenderle e stimolarle, da lato opposto, da parte della finanza.
L’inondazione di liquidità ha un qualche nesso con la soluzione dei problemi così rappresentati?
Detto in altri termini, il problema dello sviluppo, dalla prospettiva che la stessa Bce ha evidenziato, può essere indirizzato con strumenti finanziari e di politica monetaria?
Se condividiamo il punto di vista proposto ritengo proprio di no.
Che fare allora?
Prima ancora del denaro serve “conoscenza”
Conoscenza per cambiare l’identità strategica delle imprese in modo da interessare i clienti.
Conoscenza per finalizzare gli investimenti nel creare e portare sul mercato i nuovi prodotti e servizi prima definiti.
Conoscenza per consentire alle imprese di progettare, e dunque rappresentare, tali cambiamenti strategici e conoscenza per consentire alla finanza di comprenderli e, perchè no, migliorare o addiritura stimolare tali cambiamenti.
Tale conoscenza, anche se dimenticata e poco praticata, esiste, si chiama “Corporate Startegy”. Dunque ciò che manca è la presa di coscienza da parte di tutti, finanza ed economia, che il problema non è indirizzabile come lo si sta facendo, ma in modo radicalmente diverso.
Perchè sorprendersene in un epoca di cambiamenti così profondi nel resto del mondo? Perchè, all’alba del terzo millennio, mentre tutto cambia o è giá cambiato, l’economia e la finanza dovrebbero rimanere uguali a se stesse?
E perchè non considerare, nell’età “dell’informazione”, come viene chiamata da tutti (anche dalle banche) che la conoscenza potrebbe essere una tassello importante, oltre che un business, per affrontare il problema?
Fonte: Imprenditorialità Aumentata