Insieme ai consueti dati macroeconomici, uno dei principali eventi cui era rivolta l’attenzione dei mercati la scorsa settimana era il referendum irlandese sull’allargamento dell’Unione Europea. L’esito positivo della consultazione, tuttavia, non ha avuto effetti immediati né sui bond dei Paesi già aderenti all’UE, né sull’euro.
D’altra parte la valenza di questo referendum era più politica (chiudere definitivamente i conti con le divisioni lasciate in Europa dall’esito della seconda guerra mondiale) che economica, senza contare che esso si è tenuto in un momento in cui i driver di tutti i mercati sono gli utili aziendali provenienti da Oltreoceano.
Tuttavia, gli effetti sono stati immediati sulle curve dei rendimenti dei Paesi coinvolti come nuovi entranti (scese di circa 15/20 basis point su tutte le scadenze), e sulle loro monete (che in media si sono rafforzate dell’1% contro l’euro). Più interessanti, però, saranno le ripercussioni che questo processo di integrazione avrà nei mesi a venire.
Il Trattato di Nizza, la cui ratifica era l’oggetto del referendum irlandese, prevede l’ingresso nell’UE di 8 Paesi dell’area ex-comunista, più Cipro e Malta. L’obiettivo della Commissione Europea è quello di riuscire a dare il via libera ai primi entro la fine del 2004, e in ogni caso man mano che saranno soddisfatti i requisiti richiesti.
Questi ultimi non sono solo economici, ma spaziano dall’efficienza dell’amministrazione pubblica, all’armonizzazione del sistema giudiziario, al rispetto dei diritti umani. Va da sé, comunque, che l’ingresso nell’Unione Europea non comporta un’automatica adesione all’euro, per la quale sono necessari il rispetto dei criteri di Maastricht e del Patto di Stabilità sulla finanza pubblica.
In pole position per l’ingresso nell’UE c’è la Polonia, la cui Banca Centrale punta a rispettare i criteri di Maastricht già entro il 2005, per entrare poi nell’euro tra il 2006 e il 2007. Seguono a ruota l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia (quest’ultima già con un piede nella NATO).
Il processo di adesione alla moneta unica da parte dei diversi Paesi ha avuto l’effetto di convergere i tassi verso il livello di quelli tedeschi. Non c’è ragione di ritenere che una dinamica simile non si verifichi anche con i nuovi entranti.
Rating (Moody’s) | PIL %annuo | Yield % 2Y | Yield % 5Y | Yield % 10Y | |
Repubblica Ceca | Baa1 | 2.5 | 2.86 | 3.37 | 4.41 |
Ungheria | A3 | 3.1 | 9.39 | 8.01 | 7.06 |
Slovacchia | Ba3 | 4 | 7.66 (1Y) | 6.20 | 6.09 |
Polonia | Baa1 | 0.8 | 6.51 | 6.42 | 6.18 |
Lasciando da parte la Repubblica Ceca, la cui curva dei tassi si trova sotto quella tedesca, è quindi probabile che i titoli di Stato polacchi, ungheresi e slovacchi in particolare realizzino una fase di decisa sovraperformance rispetto ai corrispondenti titoli in euro, anche in uno scenario mondiale di rialzo dei tassi.
Tale comportamento può essere ulteriormente rafforzato da una dinamica favorevole dei cambi, in atto già negli ultimi mesi soprattutto in Ungheria, e che vede nello zloty polacco la divisa con i più ampi margini di apprezzamento.
Occorre inoltre notare, come si evince dalla tabella sopra, che i tassi a breve termine (con la solita eccezione della Repubblica Ceca, che ha una curva già “europea”) sono superiori a quelli a lunga scadenza. Si tratta di una tipica situazione di “curva invertita” (simile a quella dell’Italia prima di entrare nell’UEM), che segnala già le aspettative di una convergenza dei tassi a lunga a quelli core europei.
In questo contesto, però, è bene tenere presente i possibili contraccolpi negativi sul cambio euro/dollaro, poiché l’arrivo di nuovi Paesi pone tre ordini di problemi:
- Il primo riguarda l’impatto diretto che i nuovi ingressi avranno sul processo decisionale della BCE. Sarà infatti necessario un allargamento del board ai nuovi banchieri centrali, e quindi si aggiungerà un ulteriore elemento di complessità al metodo con cui vengono prese le decisioni, già di per sé piuttosto complesso.
L’unanimità sarà pressoché impossibile. Inoltre, una valutazione univoca del quadro macroeconomico di Eurolandia sarà sempre più difficile. Già adesso non c’è omogeneità, trovandoci di fronte a realtà come l’Irlanda, che crescono del 2,9% annuo con un’inflazione al 4,5%, e realtà come la Germania, che faticano a crescere al di sopra dello 0,5% e con un’inflazione all’1%. Si può immaginare quali problemi comporterebbe in quest’ottica l’ingresso di ben 10 nuovi Paesi.
- Il processo di armonizzazione fiscale, economica e sociale con gli altri Paesi UE è ineluttabile ed ineludibile, ma non scontato nella dinamica: potrebbero di volta in volta esserci ritardi o ripensamenti non sempre graditi ai mercati.
- Sulla base degli attuali criteri di calcolo dei contributi comunitari per l’aiuto alle aree meno sviluppate, i Paesi nuovi entranti sarebbero prenditori netti di questi fondi, tendenzialmente a danno di Germania e Francia (al momento la Germania è il primo Paese per versamenti ai fondi comunitari). E’ chiaro che, a meno di modifiche tese a riequilibrare la situazione, ciò favorirebbe il bilancio dei nuovi entranti, rafforzandone i bond a danno dei titoli obbligazionari dei Paesi già oggi aderenti all’euro.
In particolare, l’impatto sarebbe evidente sui titoli tedeschi e francesi, ma i nuovi emittenti andrebbero anche a porsi in diretta concorrenza con quei Paesi, come l’Italia e la Grecia, i cui bond devono il proprio appeal non tanto al merito di credito o alla virtuosità dei conti pubblici, ma agli alti rendimenti relativi all’interno di Eurolandia.
Inoltre, l’indebolimento della situazione di bilancio dei Paesi core lascerebbe ampi margini di manovra alla speculazione, che andrebbe a colpire principalmente il cambio euro/dollaro, soprattutto se l’economia USA darà segnali di risveglio nei prossimi mesi.
I CAMBI
Divisa | Cambio del 23/10/02 contro euro | |
Repubblica Ceca | Corona ceca | 30.90 |
Ungheria | Forint | 241.32 |
Slovacchia | Corona slovacca | 42.63 |
Polonia | Zloty | 4.0187 |
*Claudia Bertino e’ un’analista indipendente che collabora con Wall Street Italia