La decisione degli Stati Uniti di abbandonare l’accordo sul nucleare con l’Iran e, quindi, di ripristinare le sanzioni, alimenta il panico tra le società, italiane comprese, che hanno attività nel Paese mediorientale.
Per restare al Made in Italy– secondo dati riportati dal Sole 24 Ore – l’uscita degli Usa dall’intesa mette a rischio esportazioni che nel 2016 sono cresciute di quasi il 30% rispetto al 2015 (1,5 miliardi) in ulteriore aumento nel 2017 a 1,7 miliardi. Nel 2016, le importazioni sono state par più o meno 1 miliardo, quasi tutto greggio.
E ora dopo il ribaltone di Donald Trump? Come si legge in un articolo del Sole 24 Ore:
“Sinora, nonostante la sospensione delle sanzioni, al minimo errore commesso da una banca o da un’impresa europea in Iran, si rischiava una doppia sanzione americana: quella per la violazione delle regole e ripercussioni sulla propria operatività negli Usa. La decisione di Trump potrebbe quindi indurre le aziende europee, a dover fare una scelta di campo, tra lavorare con Teheran (che, per l’Italia, vale 5 miliardi di interscambio) o con Washington (che ne vale oltre 50). Non c’è partita. Ma una scelta, comunque, dolorosa”.
Ma a pagare il prezzo più alto potrebbero essere le principali multinazionali del Vecchio Continente. Due esempi per tutti. L’amministratore delegato di Total, Patrick Pouyanne, che ha un accordo da un miliardo di dollari per lo sviluppo di un giacimento off-shore di gas naturale, avrebbe chiesto a funzionari francesi di fare pressione sugli Usa per ottenere un’esenzione. Ombre anche su Renault che ha firmato lo scorso anno una joint venture con case automobilistiche iraniane per la produzione di 150mila auto.