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Mafia, Brusca cita il premier. «Gli dissi: accordo o bombe»

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MILANO – Nella seconda metà del 1993 «mandai Mangano a Milano ad avvertire dell’Utri e, attraverso lui, Berlusconi che si apprestava a diventare premier, che senza revisione del maxiprocesso e del 41 bis le stragi sarebbero continuate». Lo ha detto Giovanni Brusca deponendo a Firenze al processo sulle stragi del 1993. «Mangano – ha aggiunto – tornò dicendo che aveva parlato con dell’Utri, che si era messo a disposizione». Secondo Brusca, l’attentato all’Olimpico contro i carabinieri era una vendetta per chi non aveva mantenuto le promesse: «Chiudiamo il caso con il vecchio – ha spiegato – vendicandoci, e apriamo il nuovo».

Quindici-venti giorni prima della morte del giudice Paolo Borsellino, il boss Giovanni Brusca incontra Totò Riina che dice al suo interlocutore: «Finalmente si sono fatti sotto, gli ho consegnato un papello con tutta una serie di richieste». «Il tramite non me lo disse – ha raccontato Brusca, testimoniando a Firenze al processo sulla strage di via dei Georgofili del 1993 e confermando dunque la trattaiva Stato-mafia -, ma mi fece il nome del committente finale. Quell’ora dell’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino». «È la prima volta – ha concluso il collaboratore di giustizia – che lo dico pubblicamente». Immediata la replica di Mancino alle parole, di Brusca. «È una vendetta contro chi ha combattuto la mafia con leggi che hanno consentito di concludere il maxiprocesso e di perfezionare e rendere più severa la legislazione di contrasto alla criminalità organizzata» ha scritto in una nota l’allora titolare del Viminale.

«BERLUSCONI E DELL’UTRI NON C’ENRTRANO» – «Con mio cognato parlavamo di Berlusconi e Dell’Utri e io gli ho detto che non c’entrano niente con le stragi» ha anche spiegato Brusca, deponendo al processo sulle stragi del 1993. Il collaboratore di giustizia Brusca ha citato una conversazione di poco tempo fa «quando sono stato accusato di riciclaggio». Secondo Brusca, Marcello Dell’Utri e il premier non c’entrano perché «la situazione è ancorata al passato». «Dopo la strage Borsellino – ha anche raccontato Brusca -, il primo a dire che si era tagliato ogni contatto è stato proprio Salvatore Riina che mi diceva “non c’è più nessuno”». Le stragi di mafia degli anni Novanta, secondo Brusca, servivano «per far tornare lo Stato o chi per esso a trattare con Cosa Nostra».

«VOLEVANO PORTARCI LA LEGA» – Marcello Dell’Utri e Vito Ciancimino, poi, si sarebbero offerti come tramite tra la mafia e la Lega e un altro soggetto politico: è quanto avrebbe riferito Riina a Brusca, dopo l’uccisione del giudice Giovanni Falcone. Brusca ha raccontato infatti che fino all’attentato di Falcone l’obiettivo di Riina era di influenzare il maxi-processo di mafia a Palermo. In seguito, sarebbero subentrati Marcello Dell’Utri e Vito Ciancimino che volevano «portare» a Riina la Lega e un altro soggetto politico. «In un primo tempo Riina era titubante e anch’io gli chiedevo se ci fossero novità -ha dichiarato Brusca-. Fino all’ultimo attentato Riina pensava di condizionare il maxi-processo». Ma poi, ha concluso, sarebbero subentrati,«dei soggetti indicati in Marcello Dell’Utri e Vito Ciancimino che gli volevano portare la Lega e un altro soggetto che non ricordo».