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Manager banche: troppi uomini, vecchi e anche incompetenti

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Niente nomi e riferimenti diretti nello studio dei tecnici della Banca d’Italia sulla composizione dei board degli istituti di credito, eppure alcune considerazioni sono abbastanza chiare su pletoricità e anzianità dei vertici delle banche italiane, in cui le donne ad esempio latitano…

Comunque una domanda sorge spontanea: perché non ci sono nomi e riferimenti precisi nella ricerca di Bankitalia? Bazoli è protetto dalla privacy?… Troppo numerosi, poco diversificati e spesso non adeguati tecnicamente.

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E’ il profilo degli amministratori degli istituti di credito delineato da una ricerca della Banca d’Italia sulla composizione delle banche nazionali e sul loro funzionamento.

L’analisi dei documenti di autovalutazione provenienti da 43 banche coinvolte nell’indagine ha rivelato, anzi confermato, quanto osservatori di settore e la stessa Vigilanza di Bankitalia avevano notato: la tendenza ad avere consigli di amministrazione troppo numerosi, scarsamente diversificati nel genere e nell’età a cui si aggiunge la scarsa – quando non inesistente – valutazione dei titoli o delle competenze dei vari consiglieri di amministrazione.

SOVRAFFOLLAMENTO GENERALE – “Il numero medio dei componenti il board delle banche esaminate risulta, in linea generale, legato alla dimensione degli attivi e aumenta con la crescita di questi”, si legge nell’analisi di Bankitalia, che entra poi nel dettaglio: “Il numero medio dei componenti nelle banche esaminate risulta leggermente superiore rispetto a quello già rilevato dalla Banca d’Italia in occasione dell’analisi condotta sugli statuti delle banche e della pubblicazione delle best practice nel dicembre 2011. Dunque crescono i componenti dei consigli d’amministrazione per le banche di grandi e medie dimensioni, mentre diminuiscono del 18% nei piccoli gruppi bancari tra 2008 e 2013.

Ma è soprattutto la valutazione sulla necessità di diminuire tale numero a essere sottolineata dal documento della Banca centrale governata da Ignazio Visco secondo cui “nonostante l’analisi comparata e il confronto con le best practice citate induca a ritenere che il numero dei componenti sia generalmente da ridurre, la composizione quantitativa è stata giudicata positivamente da circa il 64% delle banche con sistema di governance tradizionale”.

Si legge poi che “solo nel 13% delle autovalutazioni la numerosità dei consiglieri è stata considerata un aspetto suscettibile di miglioramento; nei restanti casi non è stata fatta alcuna significativa valutazione”.

EQUILIBRIO DI GENERE – Sovraffollati e poco diversificati, ecco come si configurano i consigli d’amministrazione delle banche italiane: infatti “con riferimento all’equilibrio di genere il 93% dei componenti i board delle banche esaminate è rappresentato da uomini. Nonostante la presenza femminile sia in aumento (nel 2011 la percentuale di uomini era pari al 96,2%), in 17 delle 43 realtà esaminate la componente femminile è ancora del tutto assente e in altre 18 è pari ad una sola rappresentante”.

Leggi qui l’analisi completa: “L’esame delle autovalutazioni mostra che solo episodicamente sono stati presi in considerazione i profili inerenti la diversità di genere – si può ancora leggere nel documento – circa l’81% delle banche non ha riportato alcuna valutazione e in soli due casi l’equilibrio di genere è stato considerato un profilo da migliorare”.

ETÀ E NUMERO DI INCARICHI – Sono in maggioranza uomini, dunque, i componenti dei consigli di amministrazione, ma non solo: l’età media è di oltre sessant’anni e la loro permanenza negli incarichi è in aumento “i consiglieri delle banche esaminate hanno in media una permanenza nello stesso board pari a 6,2 anni; rispetto all’anno precedente l’indicatore risulta in aumento, sebbene per un valore inferiore all’unità (pari a 0,9). Ed è sempre per le banche medio grandi che gli indici sono in aumento.

“Per le banche di maggiori dimensioni la permanenza media è leggermente più alta rispetto al resto del campione. Nel dettaglio, l’analisi evidenzia un periodo di permanenza più lungo per le cariche di presidente (vi sono casi in cui è superiore a 15 anni) e di amministratore delegato (casi in cui è superiore a dieci anni)”.

“Nel dettaglio, suddividendo le cariche censite in esecutive e non esecutive (19) e in società finanziarie o non finanziarie (20), il 2% degli esponenti riveste almeno altri cinque incarichi di tipo esecutivo, quasi esclusivamente concentrati in imprese non finanziarie; anche in questo caso la più elevata concentrazione di cariche si riscontra nelle banche di medie e grandi dimensioni”.

VALUTAZIONI E PROFESSIONALITÀ – Se fino ad ora dall’analisi di Bankitalia si è prefigurata un’immagine prettamente maschile e tendenzialmente anziana della banche italiane, è ancora più preoccupante il versante meritocratico, si evince dal rapporto dei tecnici di Palazzo Koch. Si può leggere infatti nel documento che “pressoché nessuna delle autovalutazioni contiene approfondimenti mirati circa l’adeguatezza della professionalità dei consiglieri rispetto a tutti i profili di rischio cui la banca è esposta” e continua “gli approfondimenti compiuti sul sub-campione di banche mostrano che le modalità di valutazione della professionalità dei consiglieri sono prevalentemente formali, limitate ad una mera verifica dei requisiti minimi di legge, e non sempre assicurano l’adeguata composizione del board sotto il profilo della competenza tecnica”.

Il problema dell’incompatibilità tra ruoli di rilevanza e condanne penali non è relativo solo all’ambito politico, anzi è presente anche nel settore bancario. “Nel concreto, la presenza di profili di inopportunità della nomina – quali, ad esempio, le condanne penali per reati finanziari, sanzioni amministrative anche interdittive o coinvolgimenti in procedure fallimentari – non viene adeguatamente valutata né sotto il profilo della competenza professionale né sotto quello della reputazione”.

Per la valutazione, affidata a ogni singolo istituto bancario, “il 37% delle banche analizzate ha affidato l’incarico ad una società esterna; questa percentuale è superiore a quella registrata dall’analisi di Assonime con riferimento alle società quotate italiane (per le autovalutazioni del 2011), che risulta pari al 10%”.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Formiche – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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