ROMA (WSI) – Prima donna in Italia a prendere le redini di Confindustria, Emma Marcegaglia, appena nominata presidente dell’Eni, non ci pensa proprio a lasciare l’azienda di famiglia.
Ed è anche presidente della Business Europe – l’associazione degli industriali europei – e della Luiss – l’Università della Confindustria. “Non ho alcun conflitto di interessi”, ha detto.
“Assolutamente no, come ho detto anche quando sono stata contattata per la presidenza dell’Eni- dice in un’intervista a Repubblica – il mio gruppo non ha alcun rapporto d’affari con l’Eni, come hanno verificato prima le società di cacciatori di testa e poi il Comitato di garanzia presso il ministero dell’Economia”.
Marcegaglia ricopre la carica di vicepresidente e amministratore delegato. “Non siamo né fornitori, né clienti dell’Eni”.
“E poi -continua – non confondiamo un`azienda che produce acciaio con un impianto siderurgico”. Ovvero “i veri energivori sono i siderurgici per i quali la voce energia rappresenta non meno del 15 per cento dei costi totali. Per noi è diverso: il costo dell’energia non va oltre l’1 per cento. Sui nostri costi di produzione incide molto di più la voce trasporti, i treni, le navi”. E ancora: “l’Eni ha bisogno di tubi di grande condotta e noi non li facciamo. Noi produciamo tubi di dimensioni inferiori”.
E riguardo al patteggiamento di suo fratello Antonio nel 2008 per un caso di tangenti pagate per appalti a un manager di Enipower, tiene a precisare che si tratta di “una vicenda che risale a più di dieci anni fa. Non vedo le connessioni” e “non riguardava il gruppo Marcegaglia, bensì una piccola società controllata che è stata anche ceduta e forse non c`è nemmeno più. In quella vicenda io personalmente non ho avuto alcun coinvolgimento da nessun punto di vista”.
Tutto mentre è stata annunciata la chiusura dello stabilimento Marcegaglia Buildtech di Milano, che produce pannelli per l’edilizia industriale. Ma lei dice: “non è una chiusura di attività, bensì un trasferimento di azienda”.
Ma immediata è stata la protesta degli operai che hanno occupato viale Sarca per due ore e mezza.
“Ci hanno detto che intendono accorpare la produzione a Pozzolo Formigaro con il trasferimento di tutti e 169 i lavoratori, ma è un licenziamento mascherato – rimarca Massimiliano Murgo, delegato Fiom -. Qui avevamo tre linee di produzione, più i profilati e il pannello curvo già chiusi come acquisizione ordini da un mese. Ad Alessandria, dove peraltro ci sono già una cinquantina di operai in esubero, in cassa integrazione, sposteranno solo due linee: appena quaranta persone”.
Gli operai non vogliono nemmeno sentir parlare di incentivi all’esodo:
“Non ci aspettavamo questa decisione: il lavoro qui c’è, si spostano solo per l’interesse dell’impresa e non certo dei lavoratori”, dice Osvaldo Figùn. “Abbiamo recuperato il carico d’ordine di Taranto, dove hanno chiuso – sottolinea Umberto Panetta -. È paradossale: noi non stiamo mai fermi, ci fanno correre con la produzione e rischiamo il posto”.