(WSI) – C’è maretta nel partito democratico? John Kerry sta per tagliare qualche testa del suo staff per non rischiare di vedersi sfuggire di mano una preda che sembrava, se non sicura, almeno possibile?
Donna Brazile, la brillante consulente politica nera che è stata direttrice della campagna elettorale di Al Gore preferisce non pronunciarsi apertamente. «Non voglio rimettermi a far campagna elettorale – dice – l’ho già fatto una volta». Tra le righe, però, Donna Brazile non nega i contrasti che stanno scuotendo il partito di John Kerry dopo un agosto che è stato deludente per il candidato.
«Quelli che criticano la campagna elettorale non sono a bordo – dice – mentre dovrebbero salire a bordo e mettersi seriamente a lavorare. E’ molto duro andare contro un presidente in carica e i repubblicani hanno veramente messo a punto la loro infrastruttura».
Mentre Bush sta dando gli ultimi ritocchi al discorso che lo incoronerà questa sera come il leader indiscusso di un partito che è riuscito a mettere i dissensi sotto il tappeto del Madison Square Garden, in realtà i segnali di crisi in campo democratico sono diventati negli ultimi giorni più che evidenti.
Con rabbia impotente, i membri del partito hanno ascoltato, ieri sera, il senatore democratico della Georgia Zev Miller chiedere l’elezione di George Bush dal podio della convenzione repubblicana. Qualcuno ha cominciato a lamentarsi apertamente di una campagna elettorale che ha risposto troppo lentamente agli attacchi degli swifties e che è apparsa timida e confusa. «Vorrei vedere Kerry fare campagna come se la sua vita dipendesse da questo – ha obiettato il rappresentante nero di New York Charles Rangel – Non voglio vederlo andare in bicicletta o fare il surf».
Ufficialmente in vacanza a Nantucket insieme ai suoi più stretti collaboratori, il candidato ha subito un vero e proprio assalto di consigli non richiesti. «Kerry dovrebbe avere una linea d’attacco unica e efficace – azzarda Donna Brazile – in questi giorni la convenzione repubblicana ha esaltato il suo leader, ma ha lasciato il vuoto su quello che farà in futuro. Per Kerry è un’occasione per riempire il vuoto. C’è ancora tempo per le elezioni, ci sono ancora i dibattiti».
Le critiche, comunque, non sono cadute nel vuoto. Ufficialmente, ancora ieri, i collaboratori del candidato democratico hanno negato che ci sia in programma a tempi brevi quella rivoluzione nello staff di cui si parla a Washington, anche se non l’hanno esclusa per il futuro. In realta’, però, una rivoluzione è già avvenuta. Alla direttrice della campagna elettorale Mary Beth Cahill sono stati affiancati, martedì sera, l’ex portavoce di Bill Clinton Joe Lockhart, e Joel Johnson, un altro collaboratore dell’ex presidente. Il compito dei due sarà quello di migliorare la comunicazione.
Contemporaneamente, Kerry ha ripreso contatto con John Sasso, uno dei suoi più vecchi consulenti, attualmente direttore della compagna elettorale del partito democratico, e Tad Devine, un altro esperto di comunicazione. I nuovi arrivati hanno fatto subito sentire il loro peso. Rompendo la tradizione di rimanere nell’ombra durante la convenzione del partito avversario, Kerry si è precipitato ieri mattina a un convegno della American Legion a Nashville, accompagnato da Joe Lockhart, per rassicurare i veterani che la guerra al terrorismo, sotto la sua guida, può essere vinta.
Il viaggio sarà seguito da un giro in autobus in Ohio, che comincerà giovedì sera, e poi da un rally in ventidue stati insieme a Edwards durante il lungo weekend di Labor Day. Ieri mattina, Stephanie Cutter, portavoce di Kerry, ha annunciato l’acquisto di $45 milioni di pubblicità televisive che saranno trasmesse in autunno in venti stati a rischio come l’Arkansas, la Florida, l’Ohio e la Pennsylvania.
Resta da vedere se la rinnovata vitalità della campagna sarà sufficiente a rassicurare il partito. Chi conosce bene John Kerry, si è affrettato nei giorni scorsi a ricordare che il candidato funziona meglio quando è sotto pressione e con le spalle al muro. «Io sono ancora convinta che vinceremo», si espone Donna Brazile. «E’ vero che John rende di più quando è sotto pressione», ha confessato parlando in incognito al New York Times un vecchio collaboratore, ma non avremmo voluto contare ancora una volta su questo quando non sarebbe stato necessario».
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