Per una volta un giudice potrebbe far tornare il sorriso a Silvio Berlusconi. Dopo il rovescio giudiziario del Lodo Mondadori e la condanna a pagare 500 milioni di euro, il presidente del Tribunale delle imprese di Roma, Tommaso Marvasi, potrebbe obbligare la multinazionale americana Google a versare al gruppo Fininvest un risarcimento pari a circa la metà di quanto pagato alla CIR di De Benedetti. A difendere Mediaset troviamo Stefano Previti, socio dello studio fondato dal padre Cesare, amico di famiglia del giudice Marvasi.
Il 31 maggio scorso si è svolta l’udienza di discussione della madre di tutte le cause sulla pubblicazione sul web dei video. Mediaset contesta a Youtube e alla sua società madre, Google, di avere guadagnato ingiustamente (grazie alla pubblicità) lasciando che gli utenti caricassero e vedessero su Youtube ben 65mila video di proprietà del network italiano.
La causa è partita nel 2008 e riguarda anche gli anni 2009 e 2010. Mediaset ha chiesto 500 milioni di euro per la violazione dei suoi diritti, più 100 milioni per ogni anno. In tutto sono circa 800 milioni di euro, la metà di quello che Google ha pagato per l’intera Youtube nel 2006. Google si difende sostenendo di essere solo un provider che non ha responsabilità sui video caricati dagli utenti e che li avrebbe rimossi se solo Mediaset avesse collaborato.
Il punto di svolta a favore della RTI del gruppo Berlusconi è stato il deposito di una perizia a febbraio. I tre consulenti tecnici incaricati dal giudice Marvasi di verificare l’importo del danno subito dalla RTI del gruppo Mediaset hanno stilato i parametri per la quantificazione del danno.
Secondo i rumors della vigilia, il risarcimento, grazie alla perizia dei tre consulenti, potrebbe arrivare a una cifra oscillante tra un minimo di 200 e un massimo di 300 milioni di euro, appunto la metà del risarcimento pagato a Carlo De Benedetti per la condanna sul caso di corruzione della sentenza Mondadori. I tre consulenti tecnici scelti dal giudice sono Gianfranco Lizza, un professore di Geografia Politica, Mauro Longobardi, presidente dell’Ordine dei Commercialisti e Matteo Gattola, un ingegnere.
A questi tre consulenti il giudice Marvasi ha liquidato un compenso complessivo di 750mila euro per i loro servigi. Ai quali bisogna aggiungere altri 560mila euro per la società Vilcor Multimedia e 30mila euro a testa ai coadiutori Maurizio De Filippo, molto stimato da Marvasi, e poi Giampiero Petrilli, Giovanni Naccarato e Ascanio Salvidio.
“La causa è complessa e i compensi si stabiliscono sulla base del valore della richiesta”, spiega Gianfranco Lizza. Sarà, ma Google ha contestato le somme stabilite dal giudice Marvasi. Lo aveva fatto anche nel separato procedimento cautelare. In quel caso un altro giudice, a cui il caso è stato affidato, ha ridotto le pretese di Gattola e Vilcor.
Nonostante questa situazione non proprio idilliaca per favorire la serenità del loro operato, Gattola e la Vilcor sono stati rinominati dal giudice Marvasi nel secondo procedimento per la decisione sul risarcimento. Complessivamente consulenti e coadiutori sono stati pagati, solo per la causa principale, un milione e mezzo di euro dalle parti. Mediaset non ha battuto ciglio e ha messo mano al portafoglio. Mentre Google ha impugnato. Gianfranco Lizza è un professore di geografia politica ed economica. Già relatore a corsi sul fondamentalismo e il petrolio non vanta esperienze nel mondo dei diritti televisivi o del web.
“Sono commercialista da 44 anni e sono iscritto negli albi del tribunale. Inoltre sono stato presidente del sindacato dei commercialisti”, spiega lui al Fatto. Quanto a quell’omonimo che risulta iscritto alla lista massonica P2 con la tessera 233, Lizza dice che “ci sono tanti nomi su quella lista. Nessuno ha mai accertato chi siano. Lei non può dire che sia io”.
Il giudice Tommaso Marvasi che, salvo sorprese, dovrebbe depositare la sua sentenza entro poche settimane è citato, insieme al padre Mario, giudice romano deceduto, negli atti del processo Lodo Mondadori come un amico di famiglia di Cesare Previti .
Ora è Stefano il titolare dopo che papà Cesare è stato radiato dall’albo proprio per la sua condanna a un anno e sei mesi per corruzione giudiziaria nel caso Lodo Mondadori. In quel processo l’ex procuratore di Roma, Orazio Sava, aveva raccontato di una cena a casa Previti alla quale avevano partecipato Mario Marvasi e il figlio Tommaso. L’amico e coimputato di Previti, l’avvocato Attilio Pacifico, invece ha ricordato: “Mario Marvasi lo conosco da tantissimi anni perché frequentavamo il Circolo Calabresi perché lui era un calabrese”.
Il papà di Tommaso Marvasi, il giudice Mario Marvasi, era stato invitato al famigerato viaggio negli Stati Uniti organizzato e pagato da Cesare Previti. Marvasi senior rispose così ai giudici: “Io sapevo che le spese (del viaggio, ndr) erano mie. Oggi voi mi dite che le spese sono state fatte da Previti. Ma io anche sapendo questo ci sarei andato lo stesso, primo perché sto in pensione, mi facevo un viaggio gratis. Seconda cosa, perché sono amico di Previti”. Otto mesi prima di quel viaggio c’era stata la prima udienza del caso Siae contro Fininvest. Siae chiedeva 220 miliardi di vecchie lire. Alla fine nel 1991 il collegio del tribunale, relatore Tommaso Marvasi, condannò il gruppo Berlusconi a pagare 20 miliardi di lire per l’uso delle opere soggette a diritto d’autore. Ora le parti si sono invertite. Mediaset chiede i danni a Google e il giudice è sempre Marvasi.
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