ROMA (WSI) – È l’alimento sano per antonomasia, perché di solito è facilmente digeribile, è ipocalorico, ricco di acidi grassi essenziali ed è salutare per il cuore. Insomma, chi mangia pesce generalmente si sente in pace con sé stesso e perfettamente legittimato a fare man bassa di qualsiasi pietanza attraversi il pericoloso stretto compreso tra il suo bicchiere e il bordo inferiore del proprio piatto.
Ebbene, secondo una ricerca danese presentata all’EHRA Europace 2013 bisogna ridimensionare gli entusiasmi e ricordare – come fa un vecchio adagio – ce anche in questo caso il “troppo storpia”.
Se l’omega-3, l’acido grasso i cui benefici sono stati resi famosi da una nota pubblicità, fa bene al cuore ed è generosamente presente nel pesce, è pur vero che assumerne in eccesso può causare pericolose aritmie quali la fibrillazione atriale. Resta comunque vero anche l’opposto: assumere poco pesce vuol dire rinunciare all’importante contributo di grassi “buoni” offertici dalla fauna marittima.
La ricerca – nata originariamente per studiare il rapporto tra alimentazione e tumore – è stata condotta su oltre 57.000 persone di età compresa tra i 50 e i 64 anni, a cui è stato sottoposto un questionario. Le domande rivelavano le abitudini alimentari dei partecipanti, che per 13 anni sono stati monitorati per evidenziare eventuali aritmie atriali. E’ emerso, come atteso, che chi riserva nella propria dieta un ruolo marginale o nullo al pesce soffre di fibrillazione atriale dal 9 al 13 per cento in più rispetto a chi ha un consumo medio di pesce. Tuttavia, andare oltre il valore medio non riduce ulteriormente i rischi di aritmia, anzi: chi mangia moltissimo pesce (1 grammo al giorno di omega-3) ha il 3% di aritmie in più di chi ne consuma quantità medie.
E dunque, quanto pesce bisogna mangiare? La ricerca relaziona le aritmie alla presenza degli omega-3, per cui il quantitativo ideale indicato dallo studio è rapportato agli acidi grassi del pesce. Si stima che la dieta ideale dovrebbe includere quotidianamente 0,63 grammi di omega-3, il che, secondo la ricerca, equivale a due porzioni settimanali di pesce. La stima va tuttavia corretta sulle abitudini alimentari mediterranee (si ricordi che lo studio è danese). I pesci del nord, infatti, sono mediamente più grassi e ricchi di omega-3, mentre orate, spigole, polipi e altre specie di casa nostra sono molto più magre. Per fortuna – delizia della cucina italiana – al secondo precede generalmente un primo di pesce e, perché no, un’impepata di vongole o cozze.
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