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Medio Oriente: tensioni tra Israele e Iran pesano sui mercati. Greggio in risalita

Torna l’incubo guerra sui mercati internazionali dopo che il governo israeliano ha promesso una risposta severa al lancio di missili  da parte dell’Iran verso Tel Aviv, lasciando il Medio Oriente in preda al timore sempre più concreto di un’escalation di tensione tra i due nemici di sempre.

Nella serata di ieri, l’Iran ha lanciato circa 180 missili balistici contro diversi siti in Israele, un attacco che Teheran ha dichiarato essere la risposta all’assassinio israeliano del capo di Hezbollah Hassan Nasrallah, avvenuto la settimana precedente. Le autorità israeliane affermano che l’offensiva non ha provocato vittime e che la maggior parte dei missili è stata intercettata. Ma l’evento ha segnato un punto di svolta in una serie di escalation con Teheran apparsa irremovibile nell’intento di  dimostrare a Israele che può – e vuole – attaccare in un momento a sua scelta.

La reazione dei mercati alla guerra in Medio Oriente: petrolio in rally

I mercati si preparano ora a ciò che potrebbe seguire ad una probabile rappresaglia israeliana contro l’Iran. I titoli della difesa sono in rialzo e anche i prezzi del petrolio potrebbero essere destinati ad aumentare, poiché gli analisti vedono ora una minaccia reale alle forniture di greggio.

Il 4% delle forniture globali di petrolio è a rischio, poiché le infrastrutture petrolifere in Iran – uno dei maggiori produttori di greggio dell’OPEC – potrebbero diventare un obiettivo per Israele. I prezzi del petrolio hanno guadagnato oltre il 5% nella sessione precedente a seguito dell’attacco missilistico, prima di ridursi a una salita del 2,5%.

“Penso che l’attenzione possa essere rivolta a Israele, ma in realtà l’attenzione dovrebbe essere rivolta all’Iran e all’eventualità di attacchi alle infrastrutture regionali. Questo è davvero l’evento che stiamo valutando e che potrebbe determinare un percorso più pericoloso per i mercati azionari e per gli asset di rischio in generale”, ha dichiarato alla CNBC Frederique Carrier, responsabile della strategia di investimento per le isole britanniche e l’Asia presso RBC Wealth Management.

“Sappiamo, guardando agli atti di guerra dagli anni ’40, che quelli che creano una crisi petrolifera [e] un aumento prolungato dei prezzi del petrolio sono quelli che hanno un impatto duraturo sui mercati azionari”.

L’impatto della guerra sull’inflazione secondo Moneyfarm

I prezzi del petrolio potrebbero aumentare a causa delle preoccupazioni sull’offerta e del possibile impatto sul traffico nello Stretto di Hormuz, come sostiene anche Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm secondo cui “i mercati azionari potrebbero subire vendite, guidate dall’aumento del premio al rischio, in particolare nella regione”.

Se il conflitto dovesse proseguire, si potrebbe osservare una divergenza nella performance azionaria in base alla “geografia” e all’impatto del conflitto sugli utili. Per esempio, le aziende esportatrici potrebbero soffrire dell’instabilità geopolitica, mentre alcuni dei grandi nomi tecnologici statunitensi, ad esempio, potrebbero essere relativamente isolati dalla questione. Gli asset meno rischiosi, come i titoli di stato dei paesi sviluppati, potrebbero beneficiare della situazione, ma il loro rendimento potrebbe dipendere, in una certa quota parte, dalle prospettive sull’inflazione.

Per quanto riguarda l‘impatto sull’inflazione, continua l’esperto, questo dipenderà dall’entità e dalla durata del conflitto. Più tempo durerà il conflitto, maggiore sarà il potenziale impatto sulla catena di approvvigionamento globale.

Per arrivare a influenzare direttamente gli attuali cicli monetari di FED e BCE, il conflitto dovrebbe avere una durata prolungata. D’altro canto, però, un deciso aumento dei prezzi del petrolio e difficoltà crescenti per le catene di approvvigionamento potrebbero spingere l’inflazione al rialzo.

Wall Street apre in calo

Dopo l’attacco di martedì, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan ha messo in guardia dalle gravi conseguenze per l’Iran, affermando che gli Stati Uniti sosterranno fermamente Israele. Secondo Roger Zakheim, ex vice segretario alla Difesa degli Stati Uniti e direttore del Ronald Reagan Institute di Washington, gli sforzi di Washington per ridurre la tensione e prevenire un conflitto a livello regionale sono chiaramente falliti. Subito dopo gli attacchi iraniani, i titoli della difesa statunitensi hanno raggiunto livelli record. Anche le loro controparti europee sono salite mercoledì mattina a causa dei crescenti rischi di conflitto, con Saab e BAE Systems che hanno guadagnato il 2,2%. Thales e Rheinmetall sono salite entrambe di oltre l’1,3%.

Rimanendo negli USA, l‘indice S&P 500 è sceso oggi in apertura mentre gli operatori si preparano a subire ulteriori perdite proprio a causa dell’escalation di tensioni in Medio Oriente. Le principali medie sono reduci da una seduta in perdita a causa delle crescenti tensioni in Medio Oriente che hanno intaccato la propensione al rischio e l’entusiasmo degli investitori per il nuovo periodo di trading. Il Dow
è sceso di oltre 170 punti, mentre l’S&P 500 e il Nasdaq Composite hanno perso rispettivamente lo 0,9% e l’1,5%.

Borse europee in territorio negativo

Anche i  mercati azionari europei stanno mostrando segnali di incertezza a metà giornata, con un andamento altalenante. Dopo un inizio debole e un tentativo di ripresa, gli indici principali stanno rallentando nuovamente. Il Ftse Mib di Milano registra una perdita dello 0,3%, mentre a Parigi, i guadagni si riducono a un modesto +0,08%. Londra segna un incremento del +0,17%, mentre l’indice di Amsterdam cresce del +0,48%, segnando uno dei risultati migliori tra i principali mercati. Al contrario, Francoforte peggiora con una perdita dello 0,37%, mentre Madrid scende dello 0,5%.