ROMA (WSI) – Meno tasse? Per ora le parole del premier Matteo Renzi non trovano molto riscontro nella realtà: è infatti imminente una stangata di ben 5 miliardi di euro sulle imprese, tra la seconda rata di Imu e Tasi che gli imprenditori dovranno versare entro il prossimo 16 dicembre. Lo rende noto la Cgia.
Al lordo del risparmio fiscale lo sforzo maggiore sarà richiesto agli albergatori, che in media dovranno versare 6.000 euro circa. Seguono i proprietari dei grandi magazzini commerciali (categoria catastale D8), con poco più di 4.000 euro, e i “capitani” delle grandi industrie (D7), con 3.240 euro.
Per i capannoni di minori dimensioni (D1), gli artigiani e i piccoli imprenditori pagheranno poco più di 2.020 euro, mentre per gli uffici e per gli studi privati (A10) i liberi professionisti verseranno un’imposta media di 1.010 euro.
Per finire, il saldo su negozi (C1) e laboratori (C3) costerà ai commercianti e ai piccoli artigiani rispettivamente 492 e 378 euro.
L’Ufficio studi della Cgia fa sapere che è giunto a questi risultati utilizzando, per ciascuna tipologia di immobile strumentale, le aliquote medie risultanti dall’analisi delle delibere dei Comuni capoluogo di provincia pubblicate sul sito del Dipartimento delle Finanze.
Per ogni tipologia di immobile sono state utilizzate le rendite catastali medie ricavate dalla banca dati dell’Agenzia delle Entrate. Così commenta Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia.
“Dal 2011, ultimo anno in cui abbiamo pagato l’Ici, al 2015, l’incremento del carico fiscale sugli immobili ad uso produttivo e commerciale è stato spaventoso. Tutto ciò ha dell’incredibile. E’ utile ricordare, soprattutto ai sindaci, che il capannone, ad esempio, non viene esibito dall’imprenditore come un elemento di ricchezza, bensì è un bene strumentale che serve per produrre valore aggiunto, dove la superficie e la cubatura sono funzionali all’attività produttiva esercitata. Accanirsi fiscalmente su questi immobili come è avvenuto in questi ultimi anni non ha alcun senso, se non quello di fare cassa, danneggiando l’economia reale del Paese e, conseguentemente, l’occupazione”.