Negli annali del mercato azionario normalmente non si contano molti momenti in cui ci si chiede “Dov’eri quando è successo quel certo evento?”. Ma il 9 marzo 2009 probabilmente fu uno di quei momenti. Quel giorno, l’indice S&P500 precipitò a un minimo di 677. Dieci anni dopo, si attesta appena sotto l’importante barriera psicologica di 2.800, intestandosi la palma di mercato rialzista più duraturo della storia. Poiché molti investitori non si fidano dei mercati e il posizionamento è stato così difensivo, forse si tratta di una vittoria di Pirro. Mentre le banche centrali si lanciavano in un massiccio programma di stimolo monetario, provocando l’aumento dei prezzi delle obbligazioni e abbassandone i rendimenti, gli investitori erano costretti a guardare altrove per ottenere i redditi desiderati. Ritu Vohora, equities investment director di M&G Investments, analizza questi dieci anni individuando i settori più profittevoli (tech seguito da consumer) e i meno (in coda alla classifica il settore energia, che ha prodotto un ritorno di solo l’83% in 10 anni).
“I titoli azionari “bond proxy” – di società con caratteristiche simili a quelle delle obbligazioni – che offrono buoni rendimenti e una crescita degli utili corporate solida e stabile, divennero imprescindibili per il portafoglio. Le aziende del tech, salutate come il faro della crescita in un contesto per il resto debole, grazie al boom di e-commerce e pubblicità online si dimostrarono altrettanto popolari. Un investimento nel tech, che include colossi come Facebook, Google e Netflix, avrebbe avuto l’incredibile ritorno di 574% nei 10 anni in esame. Settori specifici a parte, chi avesse approfittato di valutazioni a dir poco convenienti rispetto alla storia sarebbe stato profumatamente ricompensato. A parte la tecnologia, il settore dei beni discrezionali (un settore in cui si trova la potente Amazon), ha rivendicato il titolo di miglior interprete, con un rendimento superiore al 650%. Per contro, tra i settori rimasti indietro c’è quello dei materiali, con le aziende del settore chimico e i produttori di cemento, insieme a quello delle telecomunicazioni. Il settore dell’energia ha registrato la peggiore performance sui dieci anni, con un rendimento di appena l’83%. A livello storico va quindi tutto bene. La domanda chiave è: dove andremo ora?“
Inoltre, Vohora guarda al futuro e prova a rispondere alla domanda che tutti si pongono: siamo alla fine del mercato rialzista?
“Se è vero che la crescita USA sta rallentando, non è di certo ferma – e la nuova posizione della Fed sta dando agli investitori un po’ di respiro dopo la turbolenta chiusura di 2018. A livello operativo, nelle ultime fasi del mercato rialzista e in una fase matura del ciclo economico, si privilegiano società di qualità con forti flussi di cassa e modelli di business resilienti: un esempio può essere Microsoft. Va poi considerato che l’azionario globale ha prezzi attraenti rispetto ai bond, con il premio al rischio azionario che si attesta al 6%, un valore più che adeguato. Vohora conclude osservando che solo il tempo potrà dire se il mercato toro si fermerà, e perché. Ma i concetti chiave per gli investitori, vale a dire selettività e diversificazione di portafoglio, sono senza tempo”.