Editoriali

Consulenza finanziaria: demografia e nuove e normative mettono a rischio la categoria

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Crescono le responsabilità, crescono gli impegni formativi, crescono le norme cui rispondere, crescono gli adempimenti legati alla compliance. Devono necessariamente aumentare i livelli di competenza, finanziaria e relazionale, cui dover far fronte.

Diminuiscono i margini di guadagno per cui sono necessarie sempre più masse in gestione per mantenere un elevato standing remunerativo. Crescono le incentivazioni, spesso utilizzate anche come leva per creare una sorta di “fedeltà costretta”.

Insomma, il mondo dei consulenti finanziari si fa sempre più difficile e complicato.

Così, negli USA, dove misurano praticamente tutto, JD Power ha intervistato 4.183 consulenti finanziari dipendenti e indipendenti da dicembre 2022 ad aprile 2023 per comprendere cosa sta influenzando la loro attività. Pur con tutti i distinguo del caso, questo vale anche per il nostro Paese.

Prima di tutto, per quelli che lavorano con un’azienda di riferimento alle spalle, c’è il tema del rapporto con la Casa Madre.
Il 28% dei consulenti dipendenti ha affermato che “probabilmente” lavorerà presso l’attuale azienda anche per il prossimo anno o due. Molte aziende sottolineano di avere tassi di fidelizzazione molto elevati e pochissimi consulenti che se ne vanno.

Tuttavia la maggior criticità che si rileva nel settore è relativa a quelli che possono essere definiti “consulenti passivi”, nel senso che restano in un’azienda senza più seguirne linee guida e non occupandosi attivamente del proprio ruolo.

Questo fenomeno aumenta nei periodi di crisi quali sono stati gli ultimi anni. Molti consulenti si sono sentiti bloccati, in difficoltà nel confrontarsi con i propri clienti e con i loro estratti conto.

Ma c’è dell’altro.

L’età media della categoria si sta alzando sempre di più ed il ricambio generazionale fa fatica a partire. Le politiche di rinnovamento non sembrano registrare successi particolari, tanto che, con un’età media di 56 anni per i consulenti finanziari, anche in Italia, il tema del ricambio generazionale sta diventando un must.

Il 20% dei consulenti ha dichiarato di essere a cinque anni o meno dal pensionamento. Chi gestirà i clienti che lasceranno?
Anche la mancanza di tempo è un fattore. Quasi un terzo (28%) dei consulenti finanziari ha affermato di non avere abbastanza tempo da dedicare ai clienti.

Il 41% di loro dice di dedicare più tempo ad attività “diverse”, come le conformità richieste dalle nuove competenze formative e le mansioni amministrative, che all’essere direttamente con i propri clienti.  Il tempo e il supporto del cliente sono un fattore chiave per una consulenza efficiente.

Secondo la ricerca, le aziende del settore devono esaminare attentamente questi fattori. I neo-inseriti fanno fatica ad entrare subito nel vivo del lavoro ed anche proceduralmente i tempi sono sempre più lunghi, ma necessari al raggiungimento della preparazione minima di base. Così i numeri non sono eccezionali. Il livello di successo degli esordienti non è un valore che soddisfa.

Così spesso e volentieri si assiste più al “mercato interno”, con passaggi da un’azienda all’altra, ciò con non pochi problemi per i clienti sballottati di qua e di là, un mercato interno che non risolve i problemi demografici in alcun modo. Così le aziende che vogliono mantenere i propri consulenti devono fornire maggiore supporto e soprattutto saper ascoltare ciò che dicono i loro consulenti.

Tra i consulenti che hanno maggiori probabilità di rimanere con la loro azienda a lungo termine, sembrano essere determinanti, i valori ed una forte cultura e leadership aziendale. Il supporto allo sviluppo professionale e la formazione, insieme alla tecnologia, sono altri fattori chiave nel costruire una relazione forte tra i consulenti ed i propri mandanti.