Attacco ai conti correnti.
Il bancomat? Non è quello che portiamo in tasca nel nostro portafoglio o, per quelli più tecnologici, virtualizzato in un’app sul cellulare. No. I nostri conti correnti sono il bancomat, di governo, fisco e banche stesse. Eccone la prova, anzi la lunga serie di prove.
1992. Governo Amato. C’è da salvare la Lira messa sotto scacco dalla speculazione finanziaria, bisogna trovare denaro. Amato decide per la patrimoniale. Viene applicato un sei per mille. Su cosa? Sui saldi dei conti correnti, saldi rilevati il sabato notte tra il 9 ed il 10 luglio del ‘92.
Ricordo ancora l’arrabbiatura di mio padre…
2011. Governo Monti. Lo chiamano “Decreto Salva Italia”. C’è da salvare l’Euro, l’Euro ed i conti pubblici italiani. Lo spread schizza ben oltre i 550 punti, esautorato Berlusconi, Monti arriva quasi fosse il salvatore della patria. Giro di vite ed applicazione di bolli e tasse. Applicati dove? Ma naturalmente sui saldi dei conti correnti e stavolta anche dei dossier titoli (quei bolli sono ancora in vigore).
2015. E’ l’anno che introduce il Bail-In. Dal primo gennaio del nuovo anno (2016) se salta una banca a pagare saranno i risparmiatori. Prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti e poi? I correntisti naturalmente, quelli che hanno in gestione somme che superano i 100mila euro.
2015. Il 22 novembre, ancora una volta con una decisione “notturna”, il consiglio dei ministri del Governo Renzi ratifica i primi quattro fallimenti di banche italiane. Non accadeva dal 1936 (anno del decreto Regio di Vittorio Emanuele III contro i fallimenti bancari). Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti. E’ un’ecatombe tra titoli azionari azzerati ed obbligazioni subordinate saltate. Le quattro banche vengono inglobate da Ubi e Bper. Ironia della sorte, dopo qualche mese i correntisti di alcune delle banche “salvatrici” ricevono una lettera che dice pressapoco così :”procediamo all’imposizione di una tassa una tantum, perché abbiamo necessità di far quadrare i bilanci dopo aver speso soldi per salvare le quattro banche in difficoltà”. Assurdo no?! I correntisti di Ubi e anche quelli di Banco Popolare (fusosi con Banca Popolare di Milano), pagano per scelte e situazioni, che di fatto, non avrebbero coinvolgerli.
2018. Le difficoltà del sistema bancario incapace di generare margini a causa dei tassi negativi e sottoposto ai costi imposti dalla rivoluzione digitale, vengono scaricate, nel corso degli ultimi anni, soprattutto sui risparmiatori ed in particolare sui correntisti. L’aggravio delle spese commissionali in alcuni casi cresce a dismisura. Il report di Banca d’Italia “Indagine sul costo dei conti correnti nel 2018” (la trovate sul sito di BI), non lascia spazio a fraintendimenti:
“Nel 2018 la spesa per la gestione di un conto corrente è cresciuta di 7,5 euro rispetto all’anno precedente, attestandosi a 86,9 euro: si tratta di una netta accelerazione rispetto al precedente biennio, durante il quale era complessivamente cresciuta di 2,9 euro.
Le spese fisse ammontano a 55,5 euro e rappresentano circa i due terzi della spesa complessiva. La crescita maggiore è quella per i canoni di base… Le spese variabili sono cresciute di 4,8 euro, raggiungendo l’importo di 31,4 euro. La variazione, riconducibile ai bonifici on line, ai pagamenti automatici e alle spese di scritturazione contabile delle operazioni, è dipesa dal congiunto aumento dell’operatività e delle corrispondenti commissioni unitarie”. (fonte BI)
2019. Arriva la Superanagrafe. Si tratta di una sorta di “GrandeFratello”, un occhio vigile, ma sempre più invasivo del fisco. Giusti i controlli, per carità, giusto cercare gli evasori, ma la possibilità che il fisco entri direttamente anche nei conti correnti genera timori e paure anche in chi non ha nulla da nascondere, è pur sempre una questione di fiducia. Ma siamo certi che gli evasori usino conti correnti e moneta elettronica?
2019. L’effetto Mustier scuote il sistema bancario. Almeno sembra scuoterlo. Invece le dichiarazioni del Numero Uno di Unicredit, per gli addetti ai lavori, noi compresi, non sorprendono affatto. Applicare costi ai correntisti sopra i 100mila euro, così come annunciato da Mustier (poi riconsiderato per conti sopra 1 milione di euro), è già prassi per molti istituti tedeschi, austriaci, svizzeri e a breve francesi. La levata di scudi contro le politiche monetarie della BCE, e di Draghi in particolare, stanno prendendo piede anche in Italia. E’ facile che, sulla strada segnata da Unicredit, si incammineranno, a breve, anche altri istituti di credito di casa nostra.
Crisi di fiducia.Questi sono solo alcuni esempi, tra i tanti di questi ultimi anni. E’ evidente come, quando ci sia necessità di “fare cassa”, i conti correnti rappresentino per tutti l’approdo più facile: istituzioni governative, fiscali e bancarie stesse sanno come fare. Tra l’altro i tassi negativi e la difficoltà di trovare alternative di investimento ai cari, vecchi e tanto amati titoli di stato, stanno conducendo sempre più grandi masse di risparmio ad essere depositate in conto.
Abi confermava, in un report di agosto scorso, che negli ultimi 12 mesi, altri 97 miliardi di risparmi sono finiti sui conti correnti tanto che il saldo totale, ad oggi, sfiora i 1500mld di euro. La crisi di fiducia, che ha colpito e continua a minare il Paese ormai dal 2008 rischia di allargarsi sempre di più. La fiducia è la moneta di scambio nel rapporto banche-risparmi, se dovesse acuirsi sarebbe davvero un dramma. Un consiglio per tutti? Tornare al cinema a vedere Mary Poppins. La scena del bambino, del penny e della corsa agli sportelli è lì, immortalata nella celluloide, ed è ancora in grado di insegnare qualcosa.