Editoriali

Extraprofitti delle banche: tassa giusta o freno al libero mercato?

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Non è un fulmine a ciel sereno quello registrato stamattina in apertura dei mercati. Gli extraprofitti bancari, passati con la scure dal governo Meloni, in qualche modo sono stati preannunciati dai numeri delle ultime trimestrali in cui gli istituti di credito hanno pubblicato conti da favola generati soprattutto dal forte rialzo dei tassi d’interesse degli ultimi mesi.

Non c’è stata però la corretta connessione, almeno non per tutti gli istituti, con il mercato del risparmio. A fronte di famiglie sempre più in difficoltà per il rialzo dei tassi dei mutui, e per le spese sempre più ingenti determinate dall’inflazione, non sono registrati aumenti della remunerazione dei depositi che in qualche modo avrebbero dovuto essere in linea con gli andamenti di mercato dei tassi d’interesse. Tutto questo ha più volte scatenato le proteste delle associazioni di categoria, che hanno più volte chiesto adeguamenti delle linee di prodotto in funzione di ciò che i mercati stavano determinando sul fronte tassi d’interesse.

Naturalmente la reazione dei mercati questa mattina alla tassa sugli extraprofitti è stata molto pesante, anche perché i numeri e le tassazioni cui dovranno far fronte gli istituti di credito italiani porteranno via una fetta di quegli utili di cui si erano, troppo precocemente, vantati. Fin dall’apertura, sono stati i due gruppi più importanti, Intesa Sanpaolo e Unicredit, a registrare le perdite più ingenti. Ancora adesso, al momento della stesura di questo articolo, la banca guidata da Messina sta perdendo circa l’8%.

Quello che è successo alle banche italiane fa il paio con quanto avvenuto lo scorso anno nei confronti delle aziende del settore energetico, quando forse, anche per una forte speculazione, i prezzi di gas e petrolio avevano raggiunto dimensioni non in linea con la realtà dei fatti.

Tuttavia, anche la presa di posizione del governo sugli extraprofitti bancari, se da un lato può essere giustificata dai numeri che abbiamo citato, pone in entrambi i casi (energia e banche) una considerazione relativa al libero mercato. Una o più aziende che investono, crescono tra mille difficoltà, sviluppano business e prodotti, perché dovrebbero pagare in maniera maggiore proprio quando quel mercato in cui hanno investito per il loro futuro crea i presupposti per un premio più grande? È un po’ come dire che ciascuno di noi non può guadagnare più di quanto qualcun’altro possa decidere. E questo, con il libero mercato, ha poco a che vedere.

Sta di fatto, per concludere, che è proprio il mercato a penalizzare i titoli azionari bancari. Quel mercato che però non può quotare l’operato di un governo. Quanto sarebbero stati valutati, se fosse stato possibile portarli in borsa, i governi italiani?