Editoriali

“Italia del calcio è razzista”. Dopo l’Economist, il New York Times. Una storia ridicola

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Ieri The Economist, oggi è The New York Times a dipingere l’Italia come un covo di serpi razziste.
E come The Economist anche The New York Times guarda al mondo del calcio come la fucina di questo presunto movimento. L’Italia, insomma, secondo il mondo anglosassone, che usa scuse impossibili da accettare, sarebbe la depositaria sportiva di un coacervo di pessimi comportamenti anti razziali.

 

Insomma, se una rondine non fa primavera, due testate anglosassoni invece possono trasformare una nazionale, come quella italiana, appena vincitrice dell’Europeo in un viatico per sottolineare quanto l’Italia sia, a loro modo di vedere, assurdo se mi consentite, un Paese razzista.

Nell’articolo a firma di Alan Burdik è riportato lo studio di tre docenti che asserirebbero (docenti economisti non hanno niente di meglio e di più importante da studiare, soprattutto in questo periodo?) che i giocatori di colore che partecipano al campionato italiano di serie A sarebbero riusciti a giocar meglio durante la stagione appena conclusasi, perché con gli stadi vuoti causa Covid, non avrebbero subito le solite pressioni negative e razziali provenienti dagli spalti dei nostri stadi.

In Italia e non solo – scrive Burdik nel suo articolo- anche i giocatori di colore di livello mondiale sono stati sottoposti a cori ed epiteti razzisti. Burdik parla persino di lanci in campo di banane. Poi racconta la storia, intervistandolo, del professor Paolo Falco, economista del lavoro presso l’Università di Copenhagen.

“A dicembre – racconta il New York Times, lui e due colleghi, Mauro Caselli e Gianpiero Mattera, economisti rispettivamente dell’Università di Trento, in Italia, e dell’OCSE a Parigi, hanno pubblicato uno dei primi studi che cercano di misurare l’impatto dei cori dei tifosi sul gioco e sui calciatori.

Io invece mi chiedo: ma nessuno controlla mai dove finiscano i soldi dei contribuenti? Pensate, in piena Pandemia, con il Mondo sottosopra, tre economisti che avrebbero potuto dedicare le loro energie a studi utili al Mondo a cui appartengono, quello economico, appunto, hanno misurato, invece, cosa???

Hanno misurato le prestazioni di circa 500 giocatori di Serie A nella prima metà della stagione 2019-2020 , prima della pandemia di Covid-19, quando gli stadi erano pieni e rumorosi con quelle delle partite della seconda fase del campionato, quando, proprio a causa della pandemia, le partite sono state giocate negli stadi vuoti.

I loro risultati evidenzierebbero che: un sottogruppo di giocatori, e uno solo, ha giocato notevolmente meglio in assenza di folla. “Troviamo che i giocatori africani, che sono più comunemente presi di mira dalle molestie razziali, sperimentano un significativo miglioramento delle prestazioni quando i tifosi non sono più allo stadio”, hanno scritto gli autori.

L’articolo racconta come Falco ha avuto l’idea di studiare il fenomeno:

“Stavo guardando una partita di calcio dopo l’inizio del Lockdown – racconta Paolo Falco al The NewYork Times – e sono rimasto colpito da quanto fosse diversa l’esperienza che stavo vivendo, anche in TV, semplicemente non sentendo tutti i rumori e tutti i canti che di solito fanno da sottofondo a una partita di calcio. Così ho iniziato a chiedermi: gli effetti del “silenzio da stadio” sono uguali per tutti i giocatori?

Così abbiamo scoperto che, in effetti, i giocatori sono colpiti in modo diverso. Quelli che sono più soggetti ad abusi sembrano sperimentare un miglioramento delle loro prestazioni rispetto al momento in cui non hanno più questa pressione su di loro. Abbiamo scoperto che i giocatori africani hanno ottenuto prestazioni migliori del 3% nella seconda parte della stagione rispetto alla prima, insomma, nella seconda parte della stagione sono stati più produttivi”.

Mi chiedo.

Ma vi sembra normale che è un giornale così autorevole come il The New York Times pubblichi uno studio che sembra davvero privo di ogni fondamento logico e che grazie a questo studio parli dell’Italia come di un paese razzista?

Perché lo studio non ha valutato le prestazioni dei giocatori meno coraggiosi, quelli che ogni volta che giocano in trasferta subiscono l’effetto stadio delle tifoserie avversarie sparendo dal campo? E di quelli che hanno paura del cosiddetto “rumore degli stadi” a prescindere dalla loro appartenenza etnica e del colore della loro pelle?

Forse l’unica cosa sensata, scritta nell’articolo è questa:

il documento di lavoro dei tre docenti è in attesa di pubblicazione su una rivista Peer-Reviewed.

La Peer Review è una valutazione di un lavoro presentato per la pubblicazione, effettuata da parte di esperti del settore di cui tratta la pubblicazione stessa. Il Peer Review è un importante strumento per garantire la qualità delle pubblicazioni scientifiche e viene effettuata da tutte le riviste scientifiche di alto livello.

Insomma non sarebbe stato meglio attendere una valutazione più professionale dello studio? Per il New York time non sarebbe stato meglio aspettare che qualcuno di autorevole desse valore a questo studio?

L’unico appunto vero è che forse dall’altra parte dell’Oceano, o dall’altra parte della Manica, ancora non hanno ingoiato la pillola: l’Italia è campione d’Europa, e da fastidio ed allora sembra che si voglia a tutti i costi trovare il modo di “SPORCARNE IL SUCCESSO”.

L’Italia ha dato dimostrazione di stile, di coraggio, di capacità uniche, di ecletticità ed autorevolezza. Sarà un caso che negli ultimi importanti mondiali giocati all’estero, l’Italia che fosse di Bearzot o di Mancini abbia vinto in Argentina con l’Argentina, in Germania con la Germania in Inghilterra con l’Inghilterra? Un dato è certo: saremo piccoli, rappresenteremo il 2,5% della superficie terrestre, ma siamo unici, unici al mondo in tanti campi, anche nello sport, soprattutto nel calcio. “Tutto il resto è noia” come canterebbe Franco Califano.