Lo spettro del bail-in
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nel suo intervento all’assemblea dell’Associazione bancaria italiana (Abi) del 6 luglio, ha lanciato l’allarme: “Rimane non trascurabile il numero di piccoli intermediari che faticano ad adattarsi al mutamento del contesto esterno. I problemi sono concentrati prevalentemente – anche se non esclusivamente – tra gli istituti con modelli di attività tipici della banca commerciale tradizionale. Non è da escludere che nel prossimo futuro si verifichino casi di crisi. Gli effetti della recessione, infatti, si aggiungono a difficoltà strutturali derivanti da modelli di attività non sostenibili e da carenze nel governo societario che abbiamo più volte invitato, spesso non adeguatamente ascoltati, a superare” ha detto Visco.
Bankitalia: lo spettro del bail-in
Il governatore di Bankitalia parla apertamente di casi di crisi, di possibili situazioni di forte difficoltà di alcuni istituti di credito e di solleciti non ascoltati. Che nel mondo bancario siano in atto profonde trasformazioni non è in dubbio, ma che queste trasformazioni rischino di impattare con forza anche su cittadini e risparmiatori non tutti lo danno per scontato. Torna lo spettro del bail-in? Che rischi ci sono per i correntisti e i risparmiatori? All’inizio del 2021 Visco si era espresso in termini analoghi: “Le banche di piccola e media dimensione potrebbero essere quelle che soffriranno in misura maggiore le conseguenze economiche della pandemia”.
Credo sia doveroso ricordare che in Europa è in vigore la direttiva BRRD, meglio nota come legge Bail-In che impone, in caso di fallimento di un istituto di credito, il coinvolgimento in solido di correntisti, obbligazionisti e azionisti. Per questo, alla luce di ciò che dice Visco, ognuno di noi dovrebbe fare le debite considerazioni rispetto ai livelli di solidità degli istituti di credito cui abbiamo affidato i nostri risparmi.
È ora di reagire
“Alla fine del 2020 – ha sottolineato ancora Visco – i costi operativi delle quasi 60 banche commerciali meno significative assorbivano in media circa tre quarti dei ricavi. In non pochi casi il rapporto tra costi e ricavi (cost-income ratio) era tale da lasciare solo una piccola parte dei proventi ordinari per la copertura del rischio di credito, gli investimenti innovativi, la remunerazione del capitale, il rafforzamento patrimoniale. Come abbiamo detto in più occasioni, è necessario che le banche in cui il cost-income ratio è troppo elevato decidano e attuino un piano di recupero dell’efficienza.
Lo scorso novembre (2020 ndr) abbiamo chiesto alla maggior parte delle banche meno significative, tra cui tutte quelle più problematiche, di condurre un esercizio di autovalutazione delle prospettive di sviluppo. Per alcuni intermediari ciò ha permesso di evidenziare condizioni, anche gravi, di fragilità, cui non sempre ha fatto riscontro una piena consapevolezza da parte dei vertici aziendali.
Spesso i percorsi di risanamento non possono prescindere da una riduzione dei costi, anche quelli del personale. Il numero eccessivo degli addetti è un tratto comune a molte banche commerciali tradizionali e assume maggiore criticità per quelle di minore dimensione. Mentre gli intermediari più grandi hanno da tempo intrapreso un percorso di razionalizzazione della compagine aziendale (con una diminuzione del numero di addetti pari a circa un quinto negli ultimi dieci anni) quelli più piccoli incontrano difficoltà a ridurre il personale oltre una certa soglia, anche per l’esigenza di presidiare le funzioni critiche. In mancanza di iniziative efficaci sul fronte della riduzione dei costi, per le banche più deboli sul piano reddituale resta unicamente la strada dell’integrazione con altri intermediari dotati di livelli di efficienza più elevati, senza la quale sarebbero concrete le prospettive di uscita dal mercato”.
Insomma, il governatore della Banca d’Italia è stato chiaro. Ha sottolineato anche come vi siano strumenti (su tutti il Fondo interbancario di tutela dei depositi ) in grado di intervenire prima dell’eventuale risoluzione (fallimento) di una banca proprio per proteggere i piccoli risparmiatori. Lo stesso Visco, eravamo nell’aprile 2015, sottolineò in Commissione Finanze alla Camera dei deputati, come fosse indispensabile che i cittadini fossero resi edotti sui rischi degli impatti che avrebbe avuto la direttiva BRRD sul Bail-In (che sarebbe poi entrata in vigore il primo gennaio 2016).
Sappiamo tutti com’è andata a finire. A cavallo tra il 2015 e il 2016 fallirono CariChieti, CariFerrara, Banca Etruria e Banca Marche e cominciò un lungo processo di trasformazione che ha portato oggi alla cancellazione del modello di banca che conoscevamo.
La crisi della banca tradizionale è evidente
Filiali che chiudono i battenti, personale sfiduciato, clienti insoddisfatti. I numeri degli ultimi dieci anni mostrano una vera e propria ecatombe. Negli ultimi 10 anni in Italia sono spariti 266 istituti di credito.
Sono state chiuse oltre 10.126 filiali o sportelli bancari e sono usciti dal sistema 47.121 bancari. Se restringiamo lo sguardo ai soli ultimi dodici mesi, i numeri appaiono ancora più significativi: sono stati spinti fuori dagli sportelli ben 6.900 dipendenti (il 14% della perdita totale nei 10 anni). Sono “evaporati” 14 istituti di credito e sono state chiuse 831 filiali sul territorio.
Questo ha portato ben 119 comuni italiani a essere privati di ogni riferimento bancario. In totale sarebbero ormai oltre 500 i comuni italiani privi di sportelli bancari, soprattutto di piccoli centri, dove l’unico vero riferimento ora resta l’ufficio postale. Al di là del disservizio clamoroso per i cittadini che ancora non hanno dimestichezza con la digitalizzazione è evidente una forte e preoccupante accelerazione.