Editoriali

Perché un’Italia commissariata e la frammentazione europea sono ormai una certezza

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Rialzo dei tassi di mezzo punto e introduzione del Tpi (o scudo anti-spread) sono state le due misure principali prese ieri dalla Bce. L’attivazione dello scudo anti spread si baserà su quattro criteri:

  1. rispetto dei criteri di bilancio indicati dall’Ue;
  2. mancanza di gravi squilibri macroeconomici;
  3. sostenibilità del debito;
  4. implementazione di politiche solide e sostenibili, nel rispetto degli impegni presi con il Recovery Fund e con le raccomandazioni specifiche della Commissione Ue.

Un’Italia commissariata

Quello che è accaduto ieri è una conferma di ciò che sospettavo da tempo. Draghi poteva sembrare il primo “commissario europeo al debito pubblico italiano”. Ora che lui sta per lasciare il governo italiano, l’Unione Europea è stata chiara: se volete gli aiuti dovete fare i compiti a casa e sottostare alle nostre decisioni. Ciò significa un commissariamento di fatto dell’Italia.

La reazione dei mercati è stata interlocutoria: lo spread che al momento in cui stiamo scrivendo è salito a 225 punti, mentre le azioni, soprattutto delle banche, hanno recuperato gran parte delle perdite in mattinata.

Fa pensare che l’Italia sia considerata peggio della Grecia, con i titoli di stato italiani che ieri in giornata, hanno reso più di quelli ellenici, a dimostrazione che il mercato paradossalmente considera più solida la Grecia dell’Italia. Ciò dimostra che i mercati non hanno logica, ma sono trascinati dall’emotività, che è sovente irrazionale.

Draghi si è dimesso. E allora? E’ possibile che un paese come l’Italia debba riversare tutte le sue speranze su un’unica persona che, al massimo, avrebbe guidato il paese per non più di 8 mesi? Inoltre, Draghi non ha fatto nulla per restare al governo. Dopo la votazione del decreto aiuti dell’altro giorno aveva comunque la maggioranza, nonostante il Movimento 5 Stelle gli avesse tolto la fiducia. Quindi, non aveva l’estrema necessità di andare alla conta in parlamento. Inoltre il suo discorso di ieri, più che ricomporre ha diviso ulteriormente un Parlamento già sull’orlo di una crisi di nervi e, soprattutto, di identità.

Perché Draghi si è dimesso?

Aleggia il dubbio che Draghi abbia volutamente lasciato ai politici la patata bollente di gestire la crisi, con una fine d’anno che si preannuncia estremamente complicata dal punto di vista della tenuta sociale?

Può darsi, considerate le numerose sollecitazioni e provocazioni ricevute durante il suo mandato. E ora? Per la prima volta, i picconatori rischiano a ritrovarsi a governare un paese estremamente complicato gestire. Ci riusciranno?

Ce lo auguriamo, nell’interesse del Paese stesso; ma il rischio per loro è ben superiore agli eventuali benefici. A cominciare dalla crisi energetica.

La crisi energetica

Il 20 luglio scorso l’Ue ha presentato un piano di riduzione della domanda di gas e la presidente della Commissione Ue Von der Leyen ha esortato i paesi europei a risparmiare gas adesso per poterne avere nel prossimo inverno, sconfessando le dichiarazioni del governo italiano, che aveva sempre rassicurato sul fatto che non ci fossero problemi nello stoccaggio del gas. L’Europa su questo argomento sta facendo fronte comune, o ci sta provando. Ma, quel “massimo sforzo” chiesto in tal senso dall’Ue rappresenta una spada di Damocle su tutto il vecchio continente.

Sono convinto che per Natale Putin abbia deciso di farci trovare sotto l’albero la chiusura totale dell’approvvigionamento del gas naturale. Bisognerà occuparsene in fretta, anche perché l’Italia, nella speciale classifica riportata da Bloomberg, risulta uno dei paesi meno capaci di generare, autonomamente, energia elettrica. Un assurdo se ci riflettete.

Ieri Putin ha confermato la riapertura del gasdotto Nord Stream 1, ma al tempo stesso ha evidenziato che avrebbe dovuto chiudere chiudere almeno il 60% della produzione. Insomma, il presidente russo sta giocando con l’Europa come nel famoso esperimento della rana bollita. L’esperimento scientifico dimostra che, un po’ alla volta, chiunque si adatta a qualunque situazione, così come la rana si adatta, pian piano, a un’acqua sempre più leggermente calda, fino a finire morire lessata.

Anche noi rischiamo di fare la fine della rana bollita, salvo non ci si accorga che stiamo vivendo in un’economia di guerra, con tutte le conseguenze che questo comporta. Il Paese dovrà prendere decisioni forti, molto più forti di quanto solo immaginato finora. L’Europa può scegliere se implodere su sorprendere se stessa, come ha fatto giovedì la Bce. Speriamo che il 21 luglio 2022 sia la data di una nuova rinascita.