MILANO (WSI) – L’America salutista e palestrata si è nutrita fin da subito di alimenti contenenti organismi geneticamente modificati, non ha fatto tante storie e ci ha costruito sopra un business molto redditizio. L’Europa li ha demonizzati e proibiti immediatamente.
In America non c’è mai stato un movimento antinuclearista rilevante e non si costruiscono nuove centrali in questa fase solo perché ci sono altre fonti di energia che costano meno. L’Europa ha invece demonizzato il nucleare, lo ha messo in liquidazione con costi elevatissimi e perfino la Francia, per motivi politici e ideologici, ne ha bloccato lo sviluppo.
L’America è avviata all’indipendenza energetica e a un’era di prosperità grazie al fracking, una tecnica di estrazione del gas naturale dal sottosuolo che ne moltiplica la quantità recuperabile. L’Europa si è precipitata a vietare per legge il fracking.
L’Europa ha orrore del trading veloce, detesta il trading in generale e cercherà di ostacolarlo con la Tobin tax. L’America, poco soddisfatta della linea a fibra ottica che collega i trader umani e artificiali di New York con il mercato dei derivati di Chicago, ne ha posata un’altra tre anni fa. La prima richiedeva 14.5 millisecondi per trasmettere l’ordine e avere l’eseguito, la seconda solo 13.1 perché corre più diritta. L’anno scorso ne hanno costruite altre due, a microonde, e sono scesi a 8 millisecondi e mezzo. In questo modo i computer possono fare più trading più in fretta.
L’Economist ha dedicato la sua penultima copertina all’europeizzazione dell’America, che sta imparando a litigare continuamente, ad alzare le tasse e a non tagliare mai la spesa pubblica. Qualche differenza, tuttavia, sembra proprio rimanere.
Quanto al trading veloce, che sia un modo per dare liquidità e profondità ai mercati (facendo risparmiare parecchio agli umani, che si evitano quel fastidioso spread tra denaro e lettera) o che sia invece la strada attraverso la quale il Maligno costruisce la sua nuova Babilonia, in ogni caso ce lo terremo. Un trader molto bravo a battere sulla tastiera impiega almeno 5 secondi, ovvero 5mila millisecondi, a impostare e trasmettere il suo ordine. È 600 volte più lento di un algoritmo, ma quello che è più grave è che può inserire solo un ordine alla volta contro le centinaia o migliaia di un programma di intelligenza artificiale. L’algoritmo, inoltre, non perde tempo a pensare e a decidere, perché è già impostato.
Se lo scalping (il tentativo di rosicchiare qualcosa sulle piccole variazioni di prezzo) diventa sempre più un’attività da macchine, agli umani resta lo slalom gigante tra quei tre o quattro paletti che segnano i minimi e i massimi di mercato all’interno di ogni anno.
La settimana scorsa avevamo proposto un portafoglio di lunga durata, azioni e corporate bond da mettere nel cassetto fino al 2015. Un 60 per cento di azioni e un 40 di bond, con l’idea di aumentare le prime e ridurre i secondi con il passare dei mesi. Oggi proviamo a disegnare un percorso più dettagliato per questo 2013.
Lo slalom gigante, del resto, si addice perfettamente non solo ai gestori di fondi, che hanno spesso a che fare con comitati d’investimento e sistemi decisionali lenti e complessi, ma a chiunque, quali che siano le commissioni d’intermediazione che gli tocca pagare. Il gigante si può fare in modo divertente anche a spazzaneve, lo speciale no.
Le borse sono entrate nel 2013 di slancio, spinte dal sollievo per la soluzione del problema del fiscal cliff e convinte di avere davanti a loro il tradizionale rialzo di gennaio e febbraio. Chi aveva portafogli troppo leggeri è corso a comprare, ma chi aveva comprato nei sette lunghi mesi di rialzo che abbiamo alle spalle ne ha approfittato per vendere qualcosa. Come nota Christopher Potts, quello in corso, probabilmente fino a fine mese, è un mercato di distribuzione, non di rialzo.
La specificità di quest’anno è la spada di Damocle che potrebbe in teoria caderci addosso tra la fine di febbraio e la fine di marzo, la seconda puntata dello scontro epico su tasse e tagli negli Stati Uniti.
Negli anni normali, se gli utili trimestrali che vengono pubblicati nel corso di gennaio sono in linea con le attese (non necessariamente superiori, quindi) il rialzo di borsa continua fino a primavera. Quest’anno, anche se gli utili saranno buoni (e al momento c’è ancora qualche dubbio) non saranno festeggiati subito. Verranno invece riposti nel cassetto in attesa di tempi migliori, tempi in cui sia più chiaro il futuro fiscale e politico dell’America.
Non si tratta solo dell’attesa di generiche decisioni o del timore (che in realtà non ha nessuno) di un default. Si tratta più specificamente di una lunga serie di settori, come ad esempio le costruzioni di case o le partnership di prospezione di gas e petrolio, che potrebbero essere danneggiati da specifiche misure che limitino le deduzioni o certe agevolazioni fiscali.
Febbraio e marzo potrebbero dunque essere due mesi di consolidamento e chi ha troppo poco azionario ed è tentato di entrare adesso farà bene ad aspettare qualche settimana.
A fine marzo, o al massimo in aprile, la saga fiscale americana sarà finalmente terminata, almeno per questa legislatura. Il debt ceiling non ha una scadenza precisa come il fiscal cliff. Il Tesoro potrà infatti continuare a pagare dipendenti pubblici e fornitori (nonché gli interessi sul debito) con contorsioni e artifici contabili per parecchi mesi. L’amministrazione Obama avrà tuttavia tutto l’interesse politico a drammatizzare la situazione, per potere additare i repubblicani come irresponsabili.
A vicenda conclusa, il mercato rimbalzerà. Lo farà anche se l’accordo raggiunto dovesse prevedere ulteriori tasse. Se il rimbalzo avrà una portata sufficientemente ampia converrà vendere qualcosa.
Le elezioni italiane di fine febbraio cadranno all’inizio di questo ciclo politico americano. Di per sé non avranno rilievo globale e non avranno nemmeno una ricaduta significativa, per qualche mese, sul corso dei titoli di stato. Se però dovessero cadere in una fase di rifiuto globale del rischio, legata a toni particolarmente aspri nello scontro politico americano, potrebbero rientrare nel discorso con un ruolo secondario.
Dall’estate in avanti si aprono due strade. Gli ottimisti puntano sulla riaccelerazione della crescita americana e sull’espansione dei multipli dovuta al venire meno di molte incertezze. Altri, come Byron Wien e Adam Parker, pongono l’accento sugli effetti restrittivi delle misure fiscali americane e sul fatto che gli utili in America saranno leggermente inferiori a quelli dell’anno scorso. Per Parker l’SP 500 chiuderà il 2013 sui livelli attuali, per Wien chiuderà più in basso.
A noi sembra che il mercato possa assorbire un’ulteriore restrizione fiscale, purché contenuta, e utili eventualmente stagnanti. La seconda fase di un ciclo rialzista di borsa è tipicamente caratterizzata da utili stabili (o perfino in discesa) compensati da multipli crescenti. La politica della Fed darà poi la spinta decisiva, nel caso ce ne fosse bisogno, al rialzo azionario di fine anno. Chi ha voluto vedere negli ultimi verbali della Fed l’intenzione di chiudere prima del previsto l’esperienza del Quantitative easing non ha tenuto conto dei rapporti di forza interni, nettamente favorevoli alle colombe.
La seconda parte dell’anno, in ogni caso, è ancora lontana. Per adesso l’importante è non correre troppo dietro al rialzo in modo da non spaventarsi in marzo e avere anzi munizioni da spendere su livelli più convenienti.
Per la stessa ragione non ci faremmo prendere dalla fretta di vendere i Treasuries lunghi, da comprare invece (tatticamente) su debolezza pronunciata. Quello ai bond sarà un addio lungo e selettivo. Si partirà dai governativi lunghi di qualità (ma da maggio-giugno, non da adesso) e molto, molto lentamente si allargherà il saluto agli altri. Gli ultimi cui diremo addio, forse nel 2015, saranno i bond ad alto rendimento, in particolare quelli emessi dalle banche.
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