Mercati finanziari: come hanno reagito alle guerre e ai conflitti geopolitici?
di Giulio Visigalli
Da mesi si sprecano analisi e report sui possibili sviluppi della crisi in Ucraina, con la Russia che minaccia di invadere Kiev e il presidente Usa Biden pronto ad intervenire insieme agli altri paesi della Nato. Il mondo teme sempre di più un’escalation militare.
A nulla sono serviti i colloqui diplomatici tra i principali capi di governo e gli operatori di mercato monitorano con attenzione la situazione dato che in gioco ci sono soprattutto le forniture di gas all’Europa senza le quali si rischia un pericoloso black out. Il Vecchio continente dipende per il 40% dal gas russo e con prezzi di luce e gas alle stelle, un’inflazione sui massimi da decenni, l’ultima cosa che vogliono i mercati finanziati è una guerra.
Mercati finanziari, come è successo durante le recenti guerre
Come hanno reagito storicamente le borse a queste turbolenze geopolitiche e come possono gli investitori affrontare questi periodi?
Le guerre purtroppo ci sono sempre state e situazioni di divergenze tra i Paesi con tutta probabilità continueranno ad esserci, ma come disse il barone Nathan Rothschild, “il momento di comprare è quando il sangue scorre nelle strade”. Detta così questa frase di fine ‘800 può inquietare ma il concetto è valido e attuale ancora oggi.
Guardando al passato guerre e tensioni hanno spesso portato volatilità e brusche correzioni di breve termine sui listini, ma non sono mai state la causa di mercati orso. Detto che ogni conflitto deve essere contestualizzato al periodo storico, statisticamente i numeri ci indicano che la Borsa non “disdegna” la guerra.
Basti pensare che nel corso della seconda guerra mondiale tra il settembre del 1939 (invasione della Polonia da parte dei nazisti), al maggio 1945 (anno della resa della Germania) l’indice americano Dow Jones ha guadagnato circa il 23%.
Questa tendenza si è replicata anche durante la guerra di Corea tra il 1950 e il 53, quando il Dow Jones è salito del 19,6%, così come è salito di oltre il 20% tra il 1964 e il ‘73 durante la guerra del Vietnam.
Anche l’escalation verso la guerra dei Balcani (’92-’95), ha penalizzato i mercati europei, i quali però si sono ripresi subito dopo l’inizio degli scontri. Prendendo come analisi le guerre del Golfo (91’ e ‘93), la guerra in Afghanistan (2001) e la guerra in Libia (2011), notiamo anche qui come nei mesi antecedenti la guerra i mercati abbiano subito bruschi cali, ma dopo lo scoppio del conflitto i listini hanno invertito la rotta mettendo a segno performance anche del 7-8% annuo.
Come si spiega questo andamento?
Questa dinamica seppur sembra controintuitiva ha una sua logica, ovvero che i mercati non amano l’incertezza; quindi, la volatilità aumenta fino a quando non si sa se ci sarà o meno un conflitto, per poi andare inesorabilmente a diminuire. Una volta avviato il conflitto, i rendimenti spesso migliorano, non perché la guerra faccia bene ai mercati, ma piuttosto perché lo scoppio del conflitto mette fine all’incertezza sulla possibilità di un’escalation senza fine.
Cosa fare quindi? Gli investitori devono valutare la situazione in modo razionale e rendersi conto che questi screzi economici, commerciali e geopolitici interessano solo una parte dell’economia mondiale. Quindi, a meno che il conflitto si estenda su scala internazionale, distruggendo il commercio e l’economia, difficilmente sarà in grado di affossare i listini per lungo tempo.
In questo complicato contesto un consiglio evergreen è quello di non esporsi su singoli Paesi, settori o aziende, ma piuttosto di diversificare guardando al mercato in un’ottica di più lungo periodo. Statisticamente il momento migliore di comprare titoli è infatti quando le persone sono maggiormente preoccupate e prese dal panico e le recenti guerre come abbiamo visto ne sono un esempio.