*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
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(WSI) – Nessun cambiamento di rotta per i mercati anche nella seconda metà di
luglio, con l’azionario che rimane ben impostato e i bond che proseguono
nella loro blanda e graduale correzione. Sul fronte dell’energia, nonostante
la stasi della domanda asiatica e l’assenza di strozzature dal lato
dell’offerta, almeno a livello di produzione, le quotazioni del petrolio non
sembrano intenzionate ad abbandonare l’area 60 dollari il barile; anche per
il dollaro non si evidenziano segnali di cedimento, soprattutto nei
confronti dell’euro, pur con tutte le novità giunte dalla Cina.
L’epocale
decisione della Banca Centrale asiatica di sganciare il renmimbi dal dollaro
per legarlo ad un più ampio paniere di valute, dopo averlo rivalutato di un
2% circa, non ha infatti avuto, e probabilmente continuerà a non avere,
effetti significativi sui mercati. Era una mossa largamente auspicata,
capace secondo molti osservatori di provocare un terremoto sui Treasuries e
forse anche sul dollaro, ma che a conti fatti rischia invece di risolversi
solo in una modifica di facciata del meccanismo di cambio, per il momento
utile soprattutto a rilanciare l’immagine della Cina.
Il colosso asiatico
riesce infatti a conseguire una pluralità di suoi importanti obiettivi al
costo di una rivalutazione estremamente contenuta: compie un altro passo in
direzione dell’apertura del suo sistema finanziario, con il passaggio ad un
sistema di cambio relativamente flessibile, e smorza le polemiche che
proprio a causa del cambio sottovalutato stavano sempre più montando in
Occidente, con il Congresso americano sul punto di varare significative
sanzioni economiche contro l’export cinese. A lungo termine, la decisione
merita quindi di essere salutata con favore, ma ciò non significa che, così
come congegnata, nell’immediato possa davvero contribuire in misura
sostanziale al riaggiustamento degli squilibri tra le principali aree
economiche globali.
Per ora rischia semmai di deludere le attese, dei
mercati finanziari e soprattutto degli operatori economici in concorrenza
con i produttori cinesi, posizionate su un ben più deciso ed efficace
intervento. Passata l’euforia iniziale, a giudicare da quanto scontano i
cambi a termine sembra infatti profilarsi un ulteriore apprezzamento del
renmimbi di un 5% circa soltanto nei prossimi dodici mesi, una mossa che
modificherà solo in maniera marginale il fortissimo vantaggio competitivo
delle merci cinesi.
Quanto al circuito virtuoso del finanziamento del
disavanzo USA, il cui rovescio della medaglia è comunque il timore di un
anomalo sostegno alle quotazioni dei Treasuries, il meccanismo potrebbe non
interrompersi affatto, anzi persino rafforzarsi qualora gli afflussi di
valuta dovessero intensificarsi sull’attesa di un’ulteriore rivalutazione
del cambio. C’è poi da considerare anche il crescente avanzo commerciale
cinese, che quest’anno potrebbe arrivare fino a 100 mld di dollari. Bisogna
comunque riconoscere che già dallo scorso marzo la Banca Centrale Cinese
aveva sospeso gli acquisti di Treasuries e che questi a fine giugno
rappresentavano comunque solo il 40% degli oltre 710 e oltre mld di dollari
di riserve valutarie cinesi (in totale, i compratori asiatici, principalente
Banche Centrali, detenevano 1,15 triliardi di dollari di Treasuries, il 28%
del debito pubblico americano).
A nostro avviso, dunque, sia i timori, sia
le attese su questo fronte erano eccessivi: l’andamento quasi indifferente
del mercato obbligazionario (oltre che del dollaro) alle novità dalla Cina
sembrerebbe confermare, almeno per ora, quest’ipotesi (ieri addirittura il
decennale USA ha messo a segno un recupero di oltre mezzo punto, tornando ad
offrire rendimenti intorno al 4,20%).
Quanto alla crescita economica e agli utili, il quadro attuale si sta
muovendo meglio del previsto, e questo spiega il maggior favore che anche
noi abbiamo accordato in questa fase all’azionario rispetto al bond market,
dopo aver a lungo insistito sulle virtù poco condivise dell’obbligazionario
(ricordiamo che da inizio anno Treasuries e Bund decennali si sono
apprezzati di un 3,4% circa, e dell’8% circa su base annua, consentendo così
di realizzare un total return superiore a quello dell’indice Dow Jones
Industrials e analogo a quello dell’S&P 500 a Wall Street; solo le Borse
europee hanno invece fatto decisamente meglio, con l’indice DJ Stoxx 50 in
rialzo del 13,3% da inizio 2005 e di un 19% circa su base annua).
La
congiuntura USA viaggia ancora su buoni ritmi, con un PIL del 2° trimestre,
il cui annuncio è atteso oggi pomeriggio, stimato in crescita di un 3,5%
circa, rispetto al +3,8% precedente; su ritmi analoghi dovrebbe viaggiare
anche il 3° trimestre, grazie alle vendite record di autoveicoli e al
riavvio degli investimenti fissi, testimoniato nei giorni scorsi dal balzo
oltre le attese degli ordini di beni durevoli. Tutto ciò non significa
comunque che lo scenario sottostante sia finalmente risanato, e che quindi
la crescita sia solida e sostenibile: il traino viene infatti sempre dal
mercato immobiliare, che con la sua continua ascesa sostiene i consumi e il
ricorso all’indebitamento delle famiglie americane, mentre il boom
dell’auto, a colpi di incentivi e promozioni così significative da spingere
in rosso i conti dei colossi USA del settore nell’ultimo trimestre, rischia
di drogare l’attuale crescita dei consumi di beni durevoli a scapito di
quella futura.
In ogni caso, in questa fase è indubbio che la congiuntura
stia riprendendo slancio e che favorisca uno spostamento di favore dal bond
market all’azionario. A beneficiarne maggiormente comunque è sempre
l’Europa, i cui listini continuano a comportarsi meglio di Wall Street (da
inizio anno l’indice Dow Jones Industrials è ancora, sia pur di poco, in
rosso, mentre l’S&P 500 è in rialzo del 2,6%, mentre il Dow Jones Stoxx 50
continentale, come abbiamo già visto, è in rialzo del 13,3%), e stavolta ci
aiuta anche il favorevole movimento del cambio euro-dollaro.
In effetti, in
Europa le disastrate condizioni congiunturali stanno mostrando qualche
segnale di recupero, a cominciare dalla Germania, dove i benefici dell’euro
debole si fanno maggiormente sentire vista la maggiore competitività
dell’export; un vantaggio che qui da noi rischia invece di andare perduto a
causa di una più bassa produttività e di una più elevata inflazione. Più
rosee invece le prospettive sugli utili: nel caso delle società quotate a
Wall Street, siamo ormai oltre il giro di boa del 50% degli annunci relativi
alle trimestrali, e di questi solo in meno del 15% dei casi si sono
registrate sorprese negative, a fronte invece di ben un 70% di sorprese di
segno opposto.
Il tasso di incremento annuo degli utili è comunque sceso ad
un 10%, migliore del 7% in precedenza atteso, ma comunque di gran lunga
inferiore al +30% registrato un anno fa: la crescita si sta quindi
progressivamente appiattendo e resta vivo il timore che possa azzerarsi nel
corso del 2006. Anche in Europa la progressione degli utili sta mediamente
decelerando, da un +17% nel 2004 ad un +9% circa stimato per quest’anno, a
fronte comunque di valutazioni ancora abbastanza contenute (13,5x gli utili
attesi, con un dividend yield del 2,6%, rispetto a multipli di oltre 16
volte e di uno yield inferiore al 2%, ma su cui incidono maggiormente i buy
backs, nel caso di Wall Street), soprattutto se confrontate, in termini
storici, con i “risibili” rendimenti dell’obbligazionario.
Come dicevamo già
a metà luglio, in questa fase la percezione dei rischi di frenata, così come
di qualsiasi evento in grado di far deragliare il favorevole trend dei
mercati, è molto bassa, grazie anche a quel clima di compiacenza che si
genera quando i rischi di un brusco ribasso delle quotazioni appaiono
remoti; e proprio la capacità di reazione, o meglio la quasi indifferenza,
degli investitori ai vari eventi geopolitici (i recenti episodi di
terrorismo ne sono un esempio) sembrerebbe confermare questa forza implicita
dei mercati.
In momenti simili si possono quindi creare le condizioni perchè
l’ottimismo alimenti un ulteriore mini rally delle quotazioni; la verifica
sui timori circa la sostenibilità di simili scenari di crescita
(sull’inflazione invece nemmeno noi nutriamo dubbi di sorta), e con essa
l’eventuale riposizionamento dei portafogli tra bond e azioni, è quindi
rinviata a fine estate.
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