I mercati azionari si sono lasciati alle spalle un mese di agosto difficile, complice in parte il clima festivo con volumi di scambio più bassi. A pesare sono state anche le difficoltà in Cina come gli ultimi dati macro deludenti e soprattutto la crisi del settore immobiliare con la bancarotta di Evergrande negli Usa e i problemi di Country Garden. Al tutto si aggiunge l’incertezza sulle prossime mosse delle banche centrali in vista dei prossimi meeting di settembre.
L’andamento dei principali indici mondiali
Nel mese di agosto la performance dei più importanti listini internazionali è stata negativa. A Wall Street, l’S&P 500 ha chiuso il mese a -1,8% e il Nasdaq ha perso l’1,6%. In Europa le perdite sono state peggiori con l’Euro Stoxx 50 a -3,9%, il Ftse Mib di Milano che ha ceduto il 2,7% e il Dax di Francoforte che ha lasciato sul terreno il 3%. In Giappone negativo anche il Nikkei 225 con un ribasso dell’1,6%.
Le perdite di agosto non hanno però più di tanto intaccato il trend rialzista dell’azionario che è iniziato all’inizio dell’anno e per ora si può ancora parlare di una breve correzione. Infatti, già nelle ultime sedute di agosto i principali indici hanno cercato di impostare un rimbalzo per risollevarsi dai minimi mensili.
Preoccupazioni sulla salute della Cina
La situazione in Cina si è via via sempre più complicata nelle ultime settimane. In uno scenario macro che mostrava già segnali di debolezza, si sono sommate anche altre difficoltà sul fronte finanziario. Come le questioni legate al gestore Zhongrong International Trust, ma anche le crisi di due big del settore real estate cinese Country Garden ed Evergrande (la prima ha sospeso undici obbligazioni onshore, la seconda ha avviato la procedura di ristrutturazione del debito offshore).
Il settore immobiliare sta arrancando a causa di una generalizzata mancanza di fiducia negli investitori. Il circolo che vizioso che si sta innescando è dovuto alla scarsa fiducia, con gli investimenti che si riducono. Il fallimento di Evergrande negli Stati Uniti è stato uno shock socioeconomico importante, vista la dimensione dell’azienda e la capillarità delle sue attività in gran parte della Cina. Secondo gli esperti, l’evento è ormai riflesso nei prezzi degli asset ed è improbabile che possa contagiare o impattare ulteriormente il sistema finanziario. Viceversa, le conseguenze economiche arriveranno e saranno percettibili.
Tuttavia, lo stato sta cercando di rimediare alla situazione con l’introduzione di nuove misure a sostegno della valuta domestica, del settore immobiliare e delle famiglie. Da segnalare anche la decisione del governo di Pechino di dimezzare la tassa applicata alle transazioni di Borsa dal precedente 0,1% all’attuale 0,05%. Chiaro l’intento, come annunciato dal Ministero delle Finanze cinese: la misura è stata concepita con l’obiettivo di “rafforzare il mercato dei capitali e aumentare la fiducia degli investitori”.
Ancora dubbi sulle prossime mosse delle banche centrali
L’evento più importante di agosto è stato il simposio di Jackson Hole che si è tenuto dal 24 al 26 agosto. Nel suo discorso Jerome Powell, numero uno della Fed, ha affermato che la banca centrale è pronta ad aumentare ulteriormente i tassi di interesse se necessario e intende mantenere elevato il costo del denaro finché l’inflazione non torni all’obiettivo del 2% nel medio termine. Powell ha colto con favore il rallentamento della corsa dei prezzi dell’economia statunitense, dimostrata dagli ultimi dati macro, grazie alla campagna dei rialzi dei tassi. Allo stesso tempo, Powell ha suggerito che la Fed potrebbe mantenere i tassi invariati nel range tra il 5,25 e il 5,5% nel meeting di settembre, come appunto atteso dagli analisti. La domanda ora è cosa aspettarci dalla Fed nella prossima riunione del 19-20 settembre anche se gli ultimi dati macro degli Usa fanno pensare a pausa della Fed (il rallentamento del mercato lavoro evidenziato dalle stime Adp e i dati sui posti di lavoro offerti).
Anche l’intervento di Christine Lagarde al simposio di Jackson Hole non ha sciolto i dubbi sulle prossime mosse della Bce. I responsabili di politica monetaria dell’eurozona rimangono divisi e attendono maggiori indicazioni dall’agenda macro. Proprio ieri è uscito il dato dell’inflazione dell’Eurozona di agosto che è risultata in linea con il dato precedente (5,3%). In rallentamento (in linea con le attese) la componente base (5,3% da 5,5%) sebbene resti su livelli ancora elevati. Si complica dunque il compito della Bce, che dovrà decidere se alzare ancora i tassi a settembre o mantenerli sui livelli attuali alla luce del deterioramento delle prospettive economiche.