ROMA (WSI) – All’inizio degli anni Cinquanta i seguaci di una setta che venerava gli Ufo si riunirono in un deserto degli Stati Uniti per attendere il preannunciato arrivo degli extraterrestri che li avrebbero salvati dalla distruzione della Terra. L’astronave aliena non si fece vedere. Tra i devoti si diffusero immediatamente delusione, frustrazione, rabbia, senso di colpa e rancore verso il loro capo, ma anche tentativi di razionalizzare il fallimento.
Forse gli alieni avevano voluto dare ai terrestri una seconda opportunità. Aggrappandosi a questa ipotesi e convincendosi gli uni con gli altri, i seguaci riacquistarono fiducia nella loro credenza e ripresero ben presto l’attività di proselitismo.
Un classico esempio di dissonanza cognitiva è la storia della volpe alle prese con l’uva nella favola di Esopo. La volpe desidera fortemente l’uva, ma quando si accorge che non riesce a raccoglierla decide di disprezzarla qualificandola come acerba. A chi volesse approfondire l’argomento
segnaliamo un piccolo libro appena uscito (L’autoinganno. Che cos’è e come funziona. Laterza).
Nelle ultime settimane, in rapida successione, abbiamo visto la Bundesbank abbassare le stime sulla crescita tedesca nel 2013, la Banca d’Italia allungare i tempi della nostra recessione e il Fondo Monetario rivedere al ribasso le previsioni di crescita globale di tre mesi fa.
In questo primo trimestre (stime JP Morgan) l’Eurozona è a crescita zero, gli Stati Uniti all’uno per cento annualizzato e il Giappone allo 0,8. Quanto alle stime sugli utili 2013, Adam Parker nota che i 124 dollari per azione sull’SP 500 previsti all’inizio dell’anno scorso sono scesi ininterrottamente e sono adesso arrivati a 114 (Parker ha una sua stima di 99, contro i 100 effettivamente realizzati nel 2012).
Nonostante questo, si sta diffondendo in modo virale nei mercati e tra molti economisti l’idea che stiamo finalmente uscendo definitivamente e irreversibilmente dalla lunga fase di bassa crescita (nel mondo) o di recessione (nella periferia europea).
Stiamo invece entrando, si dice, in un lungo ciclo di forte sviluppo, con utili crescenti e borse avviate verso nuovi massimi. Le banche centrali sono sempre più aggressive, si aggiunge, i politici sono sempre più convinti della necessità di crescere, il Giappone vuole creare ancora più moneta della Fed, gli emergenti vogliono tornare a brillare e anche il più distratto degli investitori sta cominciando a rendersi conto che il futuro è tutto nell’azionario.
Ci sono casi di dissonanza quasi da manuale. Olivier Blanchard, nel momento in cui parla del grande ottimismo che si coglie nell’aria e si dichiara a sua volta fiducioso, taglia le stime di crescita del Fondo Monetario.
Lo stesso discorso si potrebbe fare per molti altri policy maker (incluso il Fomc della Fed), visibilmente sollevati e allegri mentre riducono le loro previsioni.
Proviamo a raccapezzarci facendo tre tipi di osservazioni. Nel primo metteremo le ragioni di ottimismo del mercato effettivamente fondate nella realtà. Nel secondo criticheremo alcune altre ragioni di ottimismo che hanno in questo momento ampia circolazione. Nel terzo ne introdurremo delle altre, che probabilmente spiegano meglio il rialzo attuale delle borse e le buone prospettive per quest’anno e per i prossimi.
Nel primo gruppo mettiamo le novità politiche succedutesi da luglio a oggi. L’accettazione tedesca di una mutualizzazione attraverso la Bce del debito europeo è stata il primo grande passo. Il potenziamento e la flessibilizzazione del Quantitative easing da parte della Fed è stato il secondo. Il superamento dello scoglio del fiscal cliff americano è stato il terzo. L’intenzione della nuova dirigenza cinese e del nuovo governo giapponese di rilanciare la crescita sono stati il quarto e il quinto. L’ammorbidimento repubblicano sul debt ceiling e il proposito di evitare azioni distruttive e concentrarsi nei prossimi mesi su un ridisegno complessivo della politica fiscale americana sono il sesto.
Nel secondo gruppo di osservazioni proveremo a vedere i limiti di alcuni dei ragionamenti carichi di ottimismo che circolano nei mercati. Cominciamo con il dire che, sul piano strutturale, abbiamo finora avuto solo un assaggio degli effetti dell’invecchiamento della popolazione in tutti i paesi sviluppati. Il grosso del peso deve ancora scaricarsi sui sistemi previdenziali e sanitari.
Parlare della possibilità di una riaccelerazione permanente e significativa della crescita in un contesto futuro di disavanzi pubblici ancora più sotto pressione è fuori luogo. Lo è ancora di più perché l’orientamento di tutti i governi europei occidentali (UK escluso) e, sempre di più, degli Stati Uniti è quello di affrontare il problema non con tagli di spesa ma con tasse sempre più alte, che inevitabilmente freneranno la crescita.
Venendo all’Europa, il locomotore tedesco sarà appesantito dal costo crescente del lavoro (la Germania è in piena occupazione), dalla ripresa di aggressività del Giappone (che svaluta lo yen e spiazza ampi settori dell’industria tedesca, l’auto in primo luogo), dal costo crescente dell’integrazione europea (che tenderà sempre più a trasformarsi in un’unione dei trasferimenti) e dalla pressione al rialzo sull’euro anche nei confronti del dollaro.
L’Omt, dal canto suo, funziona bene finché resta fermo in stazione. Nel momento in cui dovesse partire sul serio, è lecito supporre che, arrivati a un certo livello gli acquisti di Btp e Bonos da parte della Bce, il malessere tedesco tornerebbe a manifestarsi seminando di nuovo il dubbio nei mercati sulla solidità della rete di sostegno sotto Italia e Spagna.
È per questo che dobbiamo augurarci tutti che l’Omt non parta mai. Se però non partirà e se le banche (come in qualche caso stanno cominciando a fare) restituiranno alla Bce una parte dei finanziamenti ottenuti con i due Ltro, il bilancio della banca centrale, invece di continuare a espandersi come quello della Fed, rischierà addirittura di contrarsi, mettendo altra pressione al rialzo sull’euro.
Quanto alla periferia, la riduzione dello spread rallenta l’aumento del debito, ma non è sufficiente a rimettere in moto la crescita in una fase in cui le banche continuano a cercare di diventare più piccole e in cui la domanda di credito è bassa perché bassa è la marginalità per le imprese.
La periferia si trova dunque davanti a due alternative rischiose. Se si smette di puntare a una riduzione del disavanzo il debito cresce velocemente. Se si aumenta ancora la pressione fiscale si rischia l’avvitamento. L’unico fattore di crescita possibile resta l’export, ma su questo l’Italia è più indietro di tutti.
Venendo agli Stati Uniti, è forte la sensazione che sia imminente (o addirittura già partita) un’accelerazione nella creazione di posti di lavoro. La ripresa dell’edilizia darà un contributo importante in questa direzione, visibile peraltro in quasi tutti i settori. Facciamo però un passo indietro.
La crisi del 2008-2009 portò a una caduta dell’occupazione ancora più pesante di quella della produzione. In seguito il Pil si riprese, ma l’occupazione molto meno, al punto che nel 2011 la produzione ritornò ai livelli precrisi con 5 milioni di occupati in meno. Logico, in questo contesto, immaginare un’esplosione dei margini e degli utili che infatti c’è stata. Da qualche mese accade però il contrario.
L’occupazione cresce più velocemente del Pil ed è lecito attendersi, se questa tendenza continuerà, un inizio di discesa dei margini, che il mercato non sta scontando. L’aumento della top line (il fatturato) compenserà solo in parte la pressione sui margini.
Concludiamo il ragionamento con il terzo gruppo di considerazioni, ovvero le vere ragioni del rialzo. Sono meno nobili dei temi della crescita e degli utili che il mercato usa per razionalizzare il bull market, ma hanno lo stesso il loro valore.
Parliamo ovviamente della politica monetaria, in primo luogo, che spinge verso l’alto l’insieme degli asset. Poi c’è il venire meno delle grandi paure del 2012, l’Europa, il fiscal cliff e l’atterraggio duro cinese. Il venire meno di un ostacolo dovrebbe teoricamente dare spazio a un rialzo una tantum e non a un rialzo continuo. Non bisogna però sottovalutare il grande ruolo dell’inerzia nella meccanica dei mercati.
C’è poi il limite fisico che le varie componenti del reddito fisso sono destinate, una alla volta, a raggiungere. Una volta che il rendimento di un bond è arrivato vicino a zero, il guadagno in conto capitale cessa.
L’obbligazionista distratto non se ne accorge subito, ma dopo qualche mese. Dopo anni di rialzi il possessore di bond sarà disposto ad accordare al suo strumento un’altra possibilità, ma quando questa non si realizzerà l’obbligazionista comincerà a guardarsi in giro.
La rotazione dai bond all’azionario sarà lenta e graduale e fornirà combustibile al rialzo azionario nei prossimi anni.
Concludiamo, come di consueto, con considerazioni di breve. La nuova ulteriore ritirata repubblicana rinvia di un mese la riapertura dello scontro fiscale in America. Il mercato comincia però a essere ipercomprato ed è difficile che prosegua a lungo nel suo movimento di rialzo lineare. Una piccola correzione, a questo punto, farebbe più bene che male.
La ritirata repubblicana è strategica. Si arretra per trovare un terreno di battaglia più propizio, il sequester. La riduzione automatica delle spese militari e sanitarie porterà a una minore crescita del Pil pari allo 0.3 per cento. Il danno sarà maggiore se lo scontro in Congresso sarà duro e prolungato.
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