Andando ad esaminare i dati del mercato del lavoro, il bollettino Excelsior (curato da Unioncamere ed Anpal, ovvero l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro) riferito al periodo settembre-novembre 2017 mette in evidenza che un’azienda su quattro ha problemi nel reperire i profili di cui necessita.
Nel complesso, riporta il bollettino, le azienda hanno in programma circa un milione di assunzioni (ad onor del vero andrebbero poi fatti dei distinguo sulla natura contrattuale offerta) ma, come già detto sopra, sanno già che per una figura su quattro dovranno sudare.
Le figure più ricercate sono giovani esperti in informatica, chimica, ma anche saldatori ed operai metalmeccanici specializzati; più in generale, si cercano e non si trovano figure che si possano definire specializzate.
Altra figura che risulta essere sostanzialmente introvabile è quella del fabbro; in un mercato caratterizzato da una difficoltà media di reperimento pari al 24,3%, i fabbri arrivano al 67%. La media si attesta poi al 51% nei laureati in matematica, informatica, chimica o fisica ed al 57% nei tecnici specializzati nel digitale.
Pare non esserci alcun problema di reperimento, invece, per figure professionali come i magazzinieri (caratterizzati da una media di difficoltà di reperimento del 7%), gli addetti alle pulizie (la cui media è pari al 8%) e le segretarie (media del 9 %).
I lavoratori poco qualificati si riescono a trovare quasi in tempo reale, con un indice di difficile reperimento pari al 9,4%, mentre risultano mancare anche i meccanici, i carpentieri, i conducenti di bus o tram.
Chiude poi la cerchia la branca dell’estetica (parrucchieri, nailsbar e centri di bellezza), dove molti giovani si stanno specializzando ma le richieste superano ancora le disponibilità.
Ma la figura che tra tutte sembra essere davvero la più gettonata, è quella del “futurologo”. Non stiamo parlando di indovini, veggenti, profeti o moderni San Malachia, Nostradamus piuttosto che Zarathustra, ma di figure che sappiano anticipare il futuro in ambito aziendale.
Le aziende (ad esempio l’automibilistica Volkswagen, la statunitense Hershey’s che opera nel mondo del cioccolato o ancora la banca Capital One) cercano quindi figure che potremmo volgarmente definire analisti; come dice al Financial Times il manager di Arup (azienda londinese di consulenza ingegneristica avente sedi in quattro continenti, giusto per completate la lista degli esempi precedenti) Josef Hargrave: “ Non si tratta di predire il futuro, quanto piuttosto di pensare ai possibili sviluppi e diffondere all’interno dell’azienda la consapevolezza e la capacità di adattarsi”.
Per venire incontro a questa esigenza del mercato del lavoro, le università si stanno attrezzando; in primis gli Stati Uniti e Taiwan, dove la facoltà di Tamkang ha attivato corsi di “Futures studies” obbligatori per i suoi studenti, al fine di togliere l’improvvisazione grazie a capacità analitiche e sensibilità verso le dinamiche culturali e sociali. Sulla stessa lunghezza d’onda Erik Overland, responsabile del corso di Berlino e presidente della Federazione mondiale per gli studi del futuro, secondo cui “le grandi imprese si sono rese conto che di fronte alla complessità del mondo è possibile agire in modo migliore se vengono esaminati diversi scenari futuri”.
Questa nuova professione si avvicina più alla sociologia che al marketing, in quanto Il fulcro della professione non è quindi cercare di indovinare quali tecnologie verranno adottate dai consumatori, quanto piuttosto immaginare le applicazioni future ed i relativi contesti di utilizzo della tecnologia. Questo perché il mestiere in questione, come spiega David Johnson ( per sette anni futurologo per la compagnia informatica Intel) “ha a che fare con sociologia ed etnologia, due branche dello studio dell’uomo e del suo comportamento”.
Niente a che vedere, dunque, con i concetti di intelligenza superumana (robot che sostituiscono le persone) o con dibattiti in ambito informatico tra vita e morte, scienza e religione e via dicendo, bensì lo studio dell’uomo finalizzato a chiedersi come potremmo sfruttare nel futuro la tecnologia presente nei servizi che già oggi si utilizzano.