Si è concluso con un nulla di fatto l’incontro svoltosi ieri alla Casa Bianca tra le delegazioni degli Stati Uniti e del Messico per trovare un accordo tra i due paesi ed evitare così una guerra commerciale.
Sullo sfondo, la minaccia del presidente americano Donald Trump di colpire immediatamente tutti i beni importati dal Messico con dazi del 5%. Non solo: l’amministrazione statunitense ha anche minacciato di alzare tali dazi fino al 25% entro ottobre se il Messico non porrà rimedio al flusso illegale di immigrati.
Nelle trattative sono stati fatti “progressi, ma non abbastanza”, twitta Trump sottolineando che le trattative riprenderanno oggi. Se nessun accordo sarà raggiunto, “dazi del 5% scatteranno lunedì” e saliranno gradualmente. “Più saliranno i dazi, maggiore sarà il numero di società che si sposteranno negli Stati Uniti”, ha affermato ieri il presidente Usa.
Export, colpita 1 azienda messicana su 5
Nel frattempo le agenzie di rating hanno agito: Fitch ha tagliato il rating del paese centroamericano a BBB da BBB+ e Moody’s Investors ha portato il suo outlook a negativo da stabile. Il rischio dazi e preoccupazioni legate alla situazione finanziaria della compagnia petrolifera di stato Pemex sono tra i fattori che hanno portato a queste decisioni.
Secondo Fitch, in caso di dazi del 5% su tutti i prodotti messicani esportati in Usa a partire dal 10 giugno, una azienda esportatrice su cinque finirà nei guai, in quanto i suoi affari saranno colpiti duramente dalla decisione controversa di Trump. Controversa perché diversi Repubblicani, dunque membri del suo partito, la osteggiano.
Il ministro messicano degli Esteri, Marcelo Ebrard, in una conferenza a Washington ha spiegato che da parte americana c’è la “volontà” di trovare un’intesa. “Ambo le parti riconoscono che la situazione attuale non può andare avanti. I flussi” di migranti “stanno diventando troppi”. Tuttavia, ha aggiunto Ebrard, “gli Usa stanno puntando a misure immediate di breve termine. Noi crediamo che non si debbano adottare [solo] misure immediate e non [solo] punitive.
USA-Messico, il vero target di Trump è la Fed
Per Keith Wade, Chief Economist and Strategist, Schroders, “Sommati allo stallo delle trattative USA-Cina, gli ultimi dazi segnalano un inasprimento delle tensioni commerciali e possono danneggiare la crescita non solo in Messico, in quanto i modelli macro statunitensi indicano che il Pil degli Stati Uniti potrebbe risultare più debole dello 0,7% nel 2020. Di conseguenza dovremmo includere nelle nostre previsioni una recessione negli USA. Come di consueto con il Presidente Trump, non possiamo essere certi che le sue ultime mosse non siano parte di una strategia e che darà effettivamente seguito alle sue parole. Il problema per la Fed è che il mercato sembra aver deciso che il Presidente agirà davvero. Di conseguenza, è più difficile per la Banca Centrale tirarsi indietro senza innescare una notevole ondata di volatilità finanziaria. Resta da vedere se le minacce di Trump sui dazi porteranno a una risoluzione della crisi di immigrazione con il Messico, ma intanto potrebbero far ottenere al Presidente il taglio dei tassi della Fed a cui aspira”.