Milioni di lavoratori italiani andranno in pensione con metà dello stipendio, anche in caso di continuità lavorativa dai 25 anni in poi e le donne avranno fino al 20% in meno degli uomini. Lo scenario è quello che emerge da una prima parte di un progetto di ricerca suddiviso in tre fasi e svolto da MoneyFarm in collaborazione con Progetica, società indipendente specializzata in educazione e pianificazione finanziaria, assicurativa e previdenziale.
Il progetto ha analizzato 8 profili di italiani, pari a 3.251.626 abitanti, (poco più del 5% della popolazione), uomini e donne oggi trentenni, quarantenni, cinquantenni e sessantenni (ovvero i nati nel 1960, 1970, 1980 e 1990) che andranno in pensione tra il 2027 e il 2062.
Pensione pubblica: ecco quanto sarà l’assegno
Ebbene per quanto riguarda la pensione pubblica, per quel 44% di occupati in queste fasce d’età, rappresentativi di 1.430.877 lavoratori, l’età di pensionamento va dai 66 anni e 11 mesi delle sessantenni fino ai 72 anni dei trentenni e la stima dei valori delle pensioni medie nette oscilla tra i 1.227€ delle donne quarantenni e i 1.560€ degli uomini sessantenni, con una media complessiva per gli 8 profili di 1.337€ netti al mese.
I tassi di sostituzione percentuali cadono a picco per le nuove generazioni, passando dal 71% di coloro che oggi hanno 60 anni al 48% per le donne che hanno compiuto 30 anni nel 2020. Purtroppo, dice la ricerca di MoneyFarm, i dati raccontano come l’obiettivo di poter contare sull’80% del proprio stipendio al momento della pensione appartenga al passato.
Le stime sono addirittura ottimistiche rispetto agli scenari del mercato del lavoro, perché ipotizzano continuità lavorativa dai 25 anni fino al momento della pensione.
Pensione integrativa: pochissimi gli aderenti
Lo studio si sofferma anche sugli scenari futuri per quanto riguarda la pensione integrativa. Oggi solo 23 italiani su 100 stanno mettendo da parte dei risparmi per integrare la propria pensione (meno di 1 italiano su 4, quindi, sta versando in una forma di previdenza integrativa).
La ricerca traccia l’identikit dell’italiano su quattro che versa in previdenza integrativa: si iscrive tardi, versa poco, con un basso rischio e alla fine preferisce avere un capitale. L’aderente medio è maschio (al 62%), ha 46 anni, versa 225€ al mese, finora ha messo da parte 22.400€ e al termine preferisce riscattare l’intero capitale. Il contributo medio sale all’aumentare dell’età e quindi delle disponibilità economiche.
Guardando agli scenari futuri, tra i lavoratori occupati del campione (1.430.877), quelli con un fondo pensione sono quasi uno su tre (31,7%), circa 454.291 iscritti, con una pensione integrativa media ottenibile in futuro di 371€ netti al mese. Per gli uomini è di 423€, per le donne di 320€, con una forbice del 32%.
Gli uomini trentenni di oggi che hanno già iniziato a contribuire potranno ottenere 765€ netti al mese ma il problema è che solo il 25% dei giovani lavoratori e il 20% delle giovani lavoratrici analizzati ha oggi un fondo pensione.
In sostanza, sommando previdenza pubblica e complementare, dei 3.251.626 cittadini (inclusi anche gli inattivi e i disoccupati) nati negli anni presi oggetto di indagine, solo il 14% ha un fondo pensione e potrebbe garantire complessivamente 1.708€ netto al mese.
Il il 30% del campione non ha un fondo pensione e potrebbe quindi contare solo della pensione pubblica, di 1.337€ netto al mese, mentre un 9% di inoccupati potrebbe avere un fondo pensione, ma probabilmente ha smesso di versare. Infine il restante 47% potrà sostenersi solamente con pensioni già in erogazione o altre forme assistenziali.