In Italia l’idea di una moneta parallela, inserita nel programma di governo dalla Lega, non è certo nuova. Sono stati Marco Cattaneo e Biagio Bossone ad avanzare nel 2016 la proposta del “Certificato di Credito Fiscale” (CCF). Ora uno dei suoi inventori, Cattaneo, è tornato sull’argomento per difendere il suo progetto.
Secondo l’economista l’idea della moneta parallela, a differenza di quanto si sia portati a pensare, non è in conflitto con le leggi UE. I certificati di credito fiscale teorizzati possono essere paragonati a una sorta di emissione di denaro per la popolazione. Una sorta di “helicopter money” sotto forma di credito d’imposta.
Non si tratta di una valuta, perché la legge non obbliga nessuno ad accettarla come mezzo di pagamento. Pertanto, spiega il presidente di CPI Private Equity in un articolo pubblicato di recente, non viola il principio di monopolio monetario che spetta alla Bce quando si tratta di emissione di moneta (l’euro).
L’Eurostat certifica senza alcuna ambiguità che non è da considerare debito se il settore pubblico non è costretto a effettuare i pagamenti con questi certificati. La moneta fiscale non è un credito classico, perché non prevede il diritto a essere pagati. Non c’è alcun vincolo in questo senso.
Mini-bot: mezzo per ridurre le tasse da pagare
E secondo i suoi promotori, tra cui il consulente economico della Lega Claudio Borghi, permetterebbe di rilanciare la crescita, in Italia così come negli altri paesi che volessero adottare questa strategia. Il mini-bot proposto dalla coalizione di governo “rappresenta soltanto il diritto a ridurre le tasse che si devono sborsare“, spiega Cattaneo.
Sul suo blog l’economista risponde a chi critica il progetto perché si stima che “produrrebbe squilibri nei saldi commerciali esteri, in quanto una parte rilevante del maggiore potere d’acquisto in circolazione si rivolgerebbe all’acquisto di prodotti stranieri”. Cattaneo ritiene che sotto questo punto di vista ci sia “molto margine, perché l’Italia ha da anni un surplus di 50 miliardi abbondanti“.
L’altra critica che viene mossa contro i mini-bot è che verrebbero visti come un primo passo verso l’addio alla moneta unica da parte dell’Italia, la terza economia dell’area euro, generando una perdita di fiducia nel paese. In realtà, non essendoci date di scadenza o un pagamento del coupon, un certificato di credito fiscale non può essere equiparato a una moneta vera e propria.
Inoltre la misura non ha un impatto diretto sul debito, che in Italia è superiore al 132% del Pil ed è il secondo più grande in Europa dopo la Grecia. “Quando il governo italiano emette 1 miliardo di euro di crediti fiscali, di fatto non incrementa il debito pubblico nazionale“.
L’apparato normativo dell’area euro si fonda sul principio secondo il quale non va aumentato il rischio di default del debito pubblico di uno stato membro. Emettere mini-bot non è in conflitto con questo obiettivo perché nessuno Stato può essere costretto a fare default su una emissione obbligazionaria che equivale a uno sconto fiscale in futuro. Il governo italiano non sarà mai obbligato a riscattare i CCF o i mini-bot in euro, una valuta che lo Stato italiano non può creare e su cui non ha sovranità.
Critici: non funzionerebbe perché aumenterebbe Spread e costi
Il problema chiaramente riguarda il fatto che l’esistenza di mini-bot costituirebbe un primo passo verso l’abbandono dell’euro. Se a un certo punto la moneta fiscale viene dichiarata il tender legal al posto della moneta unica. L’emissione di mini-bot comporta quindi dei rischi, perché potrebbe portare alla fine dell’euro, con tutte le conseguenze nefaste che ne deriverebbero, specie sul breve. Ma non è una misura illegale.
Il pericolo reale della fine dell’euro, secondo Cattaneo, è poi in primo luogo il risultato delle falle strutturali dell’Eurozona. “I problemi della regione esistono già” e continueranno a essere presenti fino a quando il sistema disfunzionale non verrà messo in ordine. E in presenza di tali disfunzioni la moneta fiscale contribuirebbe a sopperire alle esigenze di imprese e cittadini, secondo Cattaneo.
I critici sostengono che l’idea di Borghi circa l’emissione di un credito fiscale sarebbe innazitutto costosa, sia dal punto di vista contabile (perché lo strumento aumenterebbe il debito statale), sia in termini di premio del rischio per lo Stato, oltre che per il semplice fatto che andrebbe creato un nuovo sistema di pagamenti ad hoc.
Inoltre i mini-bot, che andrebbero emessi all’interno dei limiti del Patto di Crescita e Stabilità, sarebbe da considerare un misto tra un titolo di debito “inferiore” e una moneta parallela. Non può funzionare, secondo Francesco Papadia e Alexander Roth, perché se non implica un incremento del deficit di bilancio, allora va valutato come una misura di espansione fiscale.
Soltanto questo fatto, scrivono gli economisti del think tank Bruegel, aumenterebbe lo Spread e i rendimenti dei Btp e di conseguenza gli interessi che l’Italia e gli italiani pagano per finanziarsi. Anche la Banca d’Italia si espressa sull’argomento, osservando che sulla base delle leggi vigenti, i mini-bot potrebbero essere usati come un mezzo di pagamento solo previa consenso del creditore.