La minimum tax proposta dalla segretaria del Tesoro Usa, Janet Yellen, prevede un’aliquota del 21%: a tanto ammonterebbe la tassazione complessiva sugli utili delle aziende in tutti i Paesi che dovessero aderire all’iniziativa americana. L’obiettivo è creare una sorta di cartello delle economie occidentali concordi nel non competere più le une contro le altre per attirare gli investimenti delle imprese estere abbassando le tasse.
Non è ancora chiaro se l’accordo miri ad assumere la forma di un trattato internazionale, o di un più effimero accordo politico fra capi di Stato.
Secondo quanto scrive il Corriere, “Yellen ha spedito una serie di slides” riservate su questa iniziativa “all’Ocse” e un documento di 21 pagine agli altri Paesi del G20. Nonostante le critiche sollevate da numerosi osservatori e le scarse chance di successo, l’amministrazione americana sembra decisa a portare sul tavolo questa proposta.
Secondo quanto appreso da Milena Gabanelli, la proposta americana prevede che gli utili realizzati all’estero dalle imprese vengano sempre tassati complessivamente al 21%, combinando la tassazione “locale” a quella della “madrepatria”. Al Paese d’origine di ciascuna multinazionale verrebbe corrisposta la differenza fra l’aliquota applicata alla controllata estera e il 21%. “Prendiamo come esempio Facebook che paga le imposte in diversi Paesi, tra i quali proprio l’Irlanda. La «formula Yellen» prevede che l’azienda fondata da Mark Zuckerberg dovrebbe corrispondere al fisco americano la differenza tra l’aliquota irlandese (12,5%) e quella Usa (21%)”, scrive Gabanelli, “è chiaro che questo sistema scoraggia le multinazionali americane a spostare i profitti altrove: alla fine il carico fiscale sarebbe comunque pari al 21%”.
Minimum tax, l’extra gettito per l’Italia
Se questo sistema fosse accettato dalle varie controparti (e sarà dura) l’Italia porterebbe a casa un gettito aggiuntivo fra gli 8 e i 10 miliardi di dollari all’anno, si calcola in un working paper firmato, fra gli altri, dal docente di diritto tributario all’Università di Nottingham, Tommaso Faccio.
Società italiane che producono utili in vari Paesi del mondo come Eni o Enel finirebbero così col corrispondere più tasse al fisco italiano, non potendo più beneficiare dei trattamenti di favore in realtà come Lussemburgo, Olanda o Irlanda.