Economia

Minore accesso al credito e pensioni più basse: ecco quanto vale il gender gap in Italia

La disparità di genere passa anche attraverso il credito bancario. La conferma arriva dall’ultima analisi Fabi (Federazione autonoma bacati italiani) su dati Bankitalia da cui emerge un dato su tutti: agli uomini va quasi il doppio dei prestiti rispetto alle donne.

Nel credito la differenza di genere vale 70 miliardi

Come si legge nello studio, lo stock dei finanziamenti alle famiglie concesso dagli istituti, nel 2023, ammontava a oltre 474 miliardi di euro: di questi 164 miliardi è stato erogato agli uomini, 95 miliardi alle donne e 216 miliardi si riferiscono a contratti di finanziamento cointestati. Complessivamente, il credit gender gap vale quasi 70 miliardi su scala nazionale: il credito concesso alle donne è pari al 20,1% del totale contro il 34,5% di quello degli uomini, mentre valgono il 45,5% i finanziamenti cointestati.

Quando si parla di credit gap, l’Italia non è tuttavia omogenea. Maglie nere vanno a Campania, Puglia, Veneto, Sicilia, Basilicata, Lombardia, Piemonte e Calabria, dove il credito concesso alla clientela femminile non supera la media nazionale di circa 20%.

Le tre migliori, invece, sono Valle d’Aosta, Sardegna e Lazio dove i finanziamenti bancari per le donne arrivano rispettivamente al 25%, 23,2% e 22,9%. In Molise, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Trentino-Alto Adige, Abruzzo, Toscana e Liguria le quote rosa del credito vanno dal 20,8% al 22,4.

“È un dato di fatto che la parità di genere passi anche per l’accesso al credito e se questo funge ancora da leva per soddisfare aspirazioni e progetti delle famiglie italiane, la disuguaglianza finanziaria corre il rischio di differenziarne la realizzazione. la distanza tra credito e donne non divide l’Italia in due ma ne amplia la discriminazione di genere e se l’inclusione finanziaria rappresenta ancora un pilastro per la crescita economica e sociale del Paese, anche il fattore “denaro” deve fare la differenza. In tutta Italia, invece, si riscontra una ampia disparità tra uomini e donne nell’accesso al credito bancario. È un problema che nasce in banca, ma non è responsabilità delle banche se, purtroppo, esistono queste differenze, che nascono da lontano, da ragioni sociali e anche culturali. Le medesime disparità si riscontrano, tra altro, per quanto riguarda gli stipendi e le pensioni, più basse per le donne, fattori che poi condizionano l’accesso al credito. È necessario studiare tutte le misure possibili per ridurre questi divari. Suggerisco due proposte: potrebbero essere valutate forme di garanzia pubblica specifiche per le donne, non solo quelle imprenditrici, oppure potrebbero essere studiati incentivi fiscali, per esempio per incrementare le detrazioni sugli interessi pagati alle banche” commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.

Gender gap confermato anche nelle pensioni

Anche sul fronte dell’assegno pensionistico continuano a sussistere differenze di genere con le pensioni rosa fortemente penalizzate. Le pensionate italiane percepiscono in media un assegno mensile di 1.416 euro, mentre gli uomini incassano 1.932 euro in media.

Pur essendo numericamente superiori (8,3 milioni rispetto ai 7,8 milioni di uomini), – spiega l’analisi di Fabi – alle donne sono spettati, dato di fine 2022, su 321 miliardi erogati complessivamente, 141 miliardi, mentre agli uomini 180 miliardi circa. In termini relativi quindi, le pensioni femminili sono più “leggere” di quelle maschili del 36%, nonostante le donne percepiscano in media maggiori prestazioni pensionistiche rispetto agli uomini (l’80% dei pensionati uomini beneficia di una sola prestazione, contro il 64% delle donne, mentre il 7% delle donne riceve tre prestazioni, contro il 3% degli uomini).

Questa apparente incongruenza, ricavata da elaborazioni di dati Covip e Istat, si spiega col fatto che le donne ricevono prevalentemente tipologie di pensioni caratterizzate da importi più bassi: nel 2022, solo il 20% delle donne ha beneficiato di pensioni anticipate, quelle in media più alte, a fronte del 50% degli uomini.

Inoltre, anche all’interno della stessa tipologia di prestazione, si riscontrano ampie differenze legate al genere. Se si considerano i redditi medi derivanti dalle singole prestazioni, quelle riservate agli uomini superano mediamente quelle delle donne con picchi del 50% circa nelle pensioni di vecchiaia e invalidità.

Non solo. A partire dal 2020, l’età media di pensionamento femminile ha superato quella maschile (nel 2022 una donna è andata in pensione a 64,7 anni in media, un uomo a 64,2 anni) e, nonostante negli anni si sia ridotto, persiste il divario di anzianità contributiva tra i due generi: nel 2021 le donne andavano in pensione con una media di 200 settimane contributive in meno rispetto ai colleghi uomini.

Le cause

Ma quali sono le ragioni di una disparità così accentuata? Per avere un quadro più preciso, occorro fare un passo indietro. Tutto nasce infatti nel mercato del lavoro: le lavoratrici percepiscono, infatti, una paga oraria inferiore tra il 10% e il 12% rispetto a quella maschile, con picchi fino al 17% nel settore privato.

Anche il tempo di lavoro (quante ore si lavora in una settimana e quante settimane si lavorano in un anno), contribuisce ad ampliare la differenza retributiva: nel 2022 le giornate medie retribuite alle donne ammontano a 221, mentre salgono a 234 agli uomini. La cosa non sorprende se si considera come il ricorso al lavoro part time e all’utilizzo dei congedi parentali continuino ad essere prerogativa squisitamente femminile (nel 2022, il 47,7% delle donne hanno un impiego part time, a fronte del 17,4% degli uomini, mentre le richieste di congedo parentale arrivano per l’80% da madri, e solo nel 3% dei bambini beneficiari le richieste pervengono da entrambi i genitori). Alla penalizzazione diretta di un salario più basso, quindi, si aggiunge quella indiretta di minori contributi versati e di un importo inferiore di trattamento pensionistico.