Miracolo Mentana: mese record per il tg de La7. Tempi duri per Minzolini (e non solo)
Nel primo mese sotto la conduzione di Enrico Mentana il telegiornale delle ore 20 de La7 ha ottenuto una share media dell’8,37% con più di 1,8 milioni di spettatori (1.824.716) ed oltre 3,3 milioni di contatti a puntata (3.307.024), rende noto un comunicato.
Il record del notiziario risale a domenica 5 settembre, con la diretta della festa dei finiani di Futuro e Libertà a Mirabello e l’intervento di Gianfranco Fini, quando il TgLA7 ha realizzato una share media del 10,21% con picchi vicini al 13%.
Nel primo semestre dell’anno la share media del TgLa7 era stata 2,7%.
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Tempi duri dunque per Augusto Minzolini, direttore del Tg1. Un mese fa un articolo di Repubblica firmato da Francesco Merlo aveva anticipato l’andamento diamentralmente opposto dei due tg.
Riportiamo qui sotto l’articolo.
(WSI) – L’uno sale e l’altro scende, Enrico Mentana tocca il record positivo di ascolti e Augusto Minzolini quello negativo, il primo giganteggia con la normalità e il secondo si nanifica con la propaganda. Sono gli esiti opposti di due vite parallele e forse ci vorrebbe un Plutarchino per spiegare la discesa dell’uno e la salita dell’altro, il tonfo di Minzolini, che voleva imprigionare il potere e ne è prigioniero, e il successo di Mentana, che è stato allevato nelle corti e nei palazzi, ma è riuscito a non cantare né le corti né i palazzi.
Di sicuro la fuga dal Tg1 al Tg7 è già la moda dell’autunno-inverno e in fondo è vero che per capirla basta guardare e confrontare il telegiornalismo che vela con il telegiornalismo che svela. Per principio, Minzolini infratta i guai di Berlusconi, dal caso Mills alla Mignottocrazia alla grande crisi del centrodestra, è l’evoluzione antropologica del Rossella che su ‘Panoramà gli faceva l’editing tricologico: quello gli nascondeva la calvizie e questo gli nasconde gli affanni. Poi, però, con ingenua ed appassionata riverenza Minzolini difende il capo e commenta, imbronciato, le vicende che non racconta.
Mentana invece non nasconde nulla ma non prende posizione, presenta tutti i fatti ma non ne commenta nessuno. Prendete l’immagine di Fini che alza e agita il dito dicendo a Berlusconi: “Che fai, mi cacci?”. Non c’è dubbio che quel quadretto racchiude e persino spiega la vicenda politica che stiamo vivendo
e, comunque lo si voglia leggere, ha persino un profumo di poesia. Ebbene, Mentana, quasi con indifferenza, l’ha mostrato mille volte, ha fatto un tormentone di una scena che Minzolini non ha mandato in onda ma ha deplorato e condannato. Mentana vuole mostrare e non dimostrare, Minzolini pretende di dimostrare senza mostrare.
Mentana è sempre stato convinto che “il giornalismo migliore è come lo Stato migliore di Churchill, quello che non si vede”, con il paradosso che senza grandi inviati né mezzi tecnici né tante immagini di repertorio, oggi occupa tutta la scena pretendendo di mettersi dietro la scena, allena i fatti come si fa con gli atleti, ha la sapienza di descriverli, la visione politica per organizzarli, l’agilità di arrampicarsi su di essi ma senza mai appendervi un pensiero forte e limpido che forse non ha.
È un bel giornalismo, certo. Ma è Minzolini che lo rende fenomeno. All’opposto di Mentana infatti Minzolini è diventato la caricatura del direttore autorevole e austero, si fa riprendere davanti a una montagna di libri che non ha letto e neppure pratica, indossa abiti firmati con la disinvoltura e il fisico di un bagnino e subito si capisce che, nonostante il sussiego pomposo o forse proprio per quello, è ancora il romanaccio che i cronisti di Montecitorio con delicata acidità chiamavano ‘er coatto’, e non solo per il dialetto, per le giacche a quattro bottoni, per le auto, la palestra e le belle squinzie, ma anche perché il suo era un giornalismo appunto di periferia, vissuto ai margini, dietro un muro, sotto un tavolo, a ingigantire sfondi e scorci, a decifrare gli spifferi.
Il punto è che a Mentana riesce oggi quel che Minzolini sognava di fare ieri, quando era il migliore nel razzolare fuori campo e collezionare cianfrusaglie, quando alzava i tappeti per aspirarne la polvere. Mentana impagina un giornale completo, ingrandisce i dettagli, fa parlare i veri protagonisti di giornata e, certo, li mette a loro agio ma non li serve come fa, per esempio, Bruno Vespa. È affidabile perché gli spettatori “sentono” che modi e tempi della professione non sono dettati dai funzionari del berlusconismo e della politica. Mentana fornisce i documenti che gli altri nascondono o manipolano. Tutti sanno che non è neutrale, ma obliquo, sghembo e che rischia l’ipocrisia pur di essere trasversale. E infatti dell’ormai famosa intervista a Fini anche Il Giornale ha apprezzato l’irritazione sulla casa di Montecarlo:”Pure lei, Mentana, fa Novella Tremila?”.
Gli editoriali di Minzolini invece, che vorrebbero essere fragorose e roboanti difese di Berlusconi, finiscono con il somigliare alle parodie comiche e sembra quasi di sentire ancora il vecchio intercalare del coatto di Montecitorio: “v’o dico cò franchezza..”. E difatti in quella babele di portavoce che servono Berlusconi come tanti interruttori qualcuno mi dice che “Minzolini perde ascolti non perché è berlusconiano ma perché non è televisivamente bravo”; e che il telespettatore, anche quello di centrodestra, percepisce solo il furore entusiasta del soldato goffo e primitivo; e che non basta essere la voce del potere per dare potere a una voce; e che la direzione del Tg1 gli serve per vivere da grand’uomo… e insomma, “si vede che il direttorissimo gode troppo di se medesimo”.
E aggiunge un dettaglio che è un’esegesi dell’eccesso minzoliniano: “Quel che più lo fa soffrire è il non far parte degli irriducibili che contano, Feltri Belpietro e Sallusti, quelli che ormai neppure Berlusconi riesce a domare”. Azzardiamo dunque una previsione: nel centrodestra che fermenta e prende già l’odore scorante di materia in decomposizione e di roba smessa, presto anche la fanfara Minzolini cercherà di dare la linea a Berlusconi. Per vincere dunque la battaglia d’autunno e diventare persino un eroe del giornalismo libero, Mentana deve solo continuare così. È la anormalità del Tg1 che lo fa somigliare al protagonista del disperato erotico stomp di Lucio Dalla:”Ma l’impresa eccezionale / dammi retta è essere normale”.
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Ma non sembra passarsela bene neanche il Tg3 della Berlinguer, come fa notare un articolo de “Il Giornale” di Paolo Bracalini
La faziosità può fare notizia ma dipende chi sia il fazioso, e quale sia la fazione. Se poi la faziosità si accompagna ad un calo di pubblico la cosa può far notizia due volte, ma dipende ancora da chi sia l’accusato di parzialità. Sparare su Minzolini, tanto per fare un nome, ormai è pratica scontata e sport preferito da onorevoli vari.
Gli ascolti del Tg1, da quando c’è lui, sembrano diventati questione di primaria importanza nazionale. Sì ma al Tg3 invece, area di riferimento editoriale il Pd (sottoarea: la corrente di Bersani), va tutto bene? Si direbbe di sì, perché nessuno solleva questioni ai vertici, ma si direbbe di no dando un’occhiata ai dati Auditel.
Il tg della Berlinguer, da dodici mesi al timone di Telekabul, ha perso per strada in pochi mesi più di 50mila telespettatori. Una cifra non enorme, si capisce, ma va tenuto conto che è il dato «spalmato» su tutto l’anno, mentre il calo è più accentuato nelle ultime settimane, in coincidenza con l’apparizione del TgLa7 di Mentana che attira pubblico «progressista».
Se si confrontano 2009 e 2010 su un giorno di riferimento (come è stato fatto da Repubblica per il Tg1), per esempio una domenica di metà settembre, il calo può essere molto più ampio: lo scorso 19 settembre il Tg3 ha fatto il 13,02% di share, mentre nel giorno corrispondente del 2009 (domenica 20 settembre) aveva fatto il 15,81%. Quasi tre punti in meno rispetto all’anno prima.
Comunque sia, un calo allarmante in un pubblico molto fidelizzato come quello del Tg3. Ma c’è qualcuno che denunci «un evidente danno anche economico per l’azienda», come ha fatto il consigliere Rai Nizzo Nervo per il Tg1? No. Intanto, lo share del Tg3 scende.
L’edizione principale, quella delle 19, ha perso in pochi mesi lo 0,68% rispetto alla gestione Di Bella, pari a 54.034 spettatori in meno. Quella del pomeriggio ancora peggio: 73.239 telespettatori persi, con un meno 0,57%.
Vabbè, ascolti (moderatamente) in calo, ma almeno la Berlinguer non sarà faziosa come Minzolini? Bè, intanto la sua nomina è stata partorita dopo un baratto interno al Pd, perché se la rete andava ad un piddino-margheritino come Ruffini, al Tg3 ci voleva un bersaniano (neo-segretario) di ferro. La Bianca, appunto, non proprio una super partes. Veltroni stesso le chiese se voleva candidarsi alle politiche del 2008.
L’offerta, si racconta nei corridoi del Tg3, è ancora valida e pare che Bianca la stia valutando seriamente. La parzialità si vede anche nell’impaginazione del tg? Bè, qualcosina sì. A parte i servizi sul Cav, teneri come i servizi sul Pd al Tg1, ci sono notizie che vengono dimenticate dal Tg3.
Come per esempio le indagini della Procura di Siena sul presidente del Monte dei Paschi (banca vicina agli ex Ds), Giuseppe Mussari, per concorso in falso e turbativa d’asta. L’Ansa esce alle 18.39 del 6 agosto, ma nell’edizione serale del Tg3 non c’è traccia della notizia che invece campeggia sui siti di Corriere, Repubblica e nella scaletta di Tg2 e Tg1.
Sì, ma a parte il calo di ascolti e la faziosità, almeno Bianca Berlinguer non è in guerra con la sua redazione? Bè, più o meno. Da quando c’è la Berlinguer, soprannominata dai cattivi «la zarina» per il piglio decisionista e la fiducia concessa ad un manipolo di suoi «fedelissimi», son già fuggiti Nadia Zicoschi, approdata al Tg2, l’ex caporedattore economico Luca Mazzà e la sua vice Loredana Quattrini, entrambi a RaiSport, e poi Monica Carovani, ora al sito internet del Tg1.
In ambienti interni si vocifera anche di demansionamenti nella redazione, e addirittura di contratti precari che non vengono trasformati in assunzioni. Il membro Usigrai Stefano Campagna ha promesso battaglia su questo punto. Si racconta di un siluramento a freddo del parlamentarista Roberto Toppetta, con un crudo «Non mi piacciono i tuoi servizi» (rumors, rumors, ancora rumors).
Stessi modi sbrigativi usati con Oliviero Beha, e per l’ex capo della cultura Paola Sensini, tolta per metterci Eugenia Nante, molto amica della direttora (raccontano sempre al Tg3). Fibrillazione anche in altri settori e per altri colleghi, sotto l’incudine dei metodi rudi della Berlinguer (se fosse Minzolini si direbbero «liste di proscrizione»), che ora avrebbe nel mirino Fulgenzi, il capo dell’economico e poi Guido Torlai, capo della cronaca. Direzione stile Pci anni ’70, insomma, ma nel silenzio generale di tutti gli indignati dal «minzolinismo», nemmeno sfiorati dal «berlinguerismo».
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