L’evoluzione dei ruoli sessuali ha prodotto negli ultimi anni molte trasformazioni, rivolgimenti del modo di essere femmine e di essere maschi. Uomini che si vestono da donne e portano gioielli. Donne che esprimono sensualità e decisionismo. Uomini più femminili e donne più autorevoli, forse. Ma ognuno per la sua strada, non necessariamente
quella di una maggiore comunicazione. Piuttosto si direbbe che ciascun sesso il suo percorso se lo faccia da solo, guardandosi allo specchio e non rispecchiandosi nel reciproco sguardo. L’affettività si sposta sugli oggetti: borse/marsupi, orologi, gioielli, scarpe, tutti amatissimi. Anche la pubblicità di moda è focalizzata sugli accessori che stanno diventando in un certo modo più significativi degli abiti, più indicativi dei percorsi del gusto.
L’accessorio – diversamente dagli abiti – richiede in fotografia un trattamento ad hoc, in modo che risulti non tanto accessorio (optional), ma il prodotto nuovo che è, sempre più simbiotico con il corpo, con una carica espressiva molto forte e seducente. Si chiamano ancora accessori, ma assomigliano sempre più, nell’uso che se ne fa e nel rapporto che si intrattiene con essi, ad estensioni, protesi del corpo umano, oggetti
transizionali. Il caso delle borse anatomiche di Miu Miu che hanno sostituito gli zainetti, prodotto culto di qualche anno fa, o la
Baguette di Fendi sono emblematici di questo cambiamento nella funzione accessoria della borsa.
Grazie all’importanza delle scarpe – circa un terzo degli annunci pubblicitari della moda hanno come soggetto oggi le scarpe, il piede sinora trascurato dall’immaginario erotico occidentale se non nel repertorio feticista del tacco a spillo, è assurto a parte anatomica di grande interesse, nudo o calzato.
E le motivazioni economiche si sommano a quelle antropologiche e socioculturali. Già da molti anni il sistema moda italiano, pur essendo sempre forte sotto il profilo delle esportazioni, non dà più i
risultati di fatturato che hanno caratterizzato il suo periodo d’oro, gli anni 80. Anche se il fatturato della moda – tessile, maglieria,
abbigliamento, pelli e concia, pelletteria, calzature – è di circa 141.000 miliardi di lire (Fonte: Comit-Prometeia 1998) e rappresenta il
50% dell’attivo della bilancia commerciale italiana, a partire dalla fine degli anni 80, i negozi vendono sempre meno abiti. Un elemento
ulteriore è costituito dal fatto che le aziende più innovative oggi, come Prada e Gucci, vengono da un passato di pelletteria artigianale di
lusso, con una forte tradizione e capacità di produrre scarpe, borse e cinture di elevatissima qualità.
Accessori presenti nella loro materialità che tuttavia trascendono. Non più meri oggetti di consumo, ma oggetti magici, carichi di simboli e di allusioni, legati al corpo da un insieme di emozioni, di allusioni, di affettività. Come è il caso del telefono cellulare, vero e proprio
amuleto del consumatore italiano, che nutre nei confronti di questo ibrido tra moda e tecnologia la venerazione che le società tradizionali
riservavano agli oggetti sacri. Oggetti che vivono e quindi muoiono. Non a caso è stato istituito il
primo cimitero, virtuale, per oggetti, ideato da un giovane italiano. Un sito Internet già frequentatissimo che ci aiuta ad accomiatarci con
il dovuto rituale dagli oggetti che ci hanno servito fedelmente: piccole frasi calde e riconoscenti affidate alla rete che accoglie così le nostre cose disperdendone le ceneri del ricordo, prima che vengano sostituite con oggetti più recenti, più di moda.
Simona Segre,
Sociologia della Moda, IULM, Milano.