SIENA (WSI) – È deciso: la guida della Fondazione Mps sarà affidata ad Antonella Mansi, vicepresidente di Confindustria la cui famiglia è a capo del primo produttore italiano di acido solforico. L’ente senese, insomma, s’è tenuta stretta la sua piena autonomia: con la scelta di Mansi sono tramontate le candidature dell’ex garante della privacy Francesco Pizzetti e anche quella di Renzo Costi, professore di diritto commerciale bolognese che pare fosse molto ben visto dal governo per la guida della Fondazione.
Ieri il sindaco di Siena Bruno Valentini ha incontrato per dure ore a pranzo la manager, per poi spiegare che si trattava di «un incontro programmato già da tempo, alcuni giorni fa: perché il futuro presidente della Fondazione va conosciuto prima di candidarlo e perché sarà interlocutore decisivo per il Comune di Siena».
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Il sindaco ha anche preso, in qualche modo, le distanze dalla candidatura di Francesco Pizzetti: «Il suo nome non è uscito da me, lo ha diffuso un blog. Al tempo eravamo in fase di consultazione e io ne parlai solo con gli enti nominanti. Come era normale che fosse. E qualcuno lo ha diffuso». Valentini ha anche aggiunto di sentire il nome di Costi come «un po’ lontano da Siena».
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Lo stesso Pizzetti ha confermato la sua esclusione dalla corsa con un comunicato: «Il sindaco di Siena Valentini – scrive il professore – mi ha informato poco fa che ritiene opportuno rinunciare a sostenere la mia candidatura per la presidenza della Fondazione Monte Paschi Siena al fine di favorire la massima convergenza della deputazione su un nome più condiviso e di pervenire finalmente alla conclusione di una vicenda che anche a mio parere si è già protratta per troppo tempo».
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Ritratto di Antonella Mansi
di Roberto Mania
«Più che preoccupata sono consapevole di quel che mi aspetta», dice Antonella Mansi, 39 anni, imprenditrice della chimica, appena nominata all’unanimità presidente (per la prima volta donna) della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. Nomina politica, fortemente politica, di quel che è stata, e che più non sarà, il bancomat di un sistema di potere che è tracollato trascinando nel baratro una banca (la più antica di tutte), i suoi manager, pezzi della politica locale con tutti i suoi addentellati romani. Il Pd, certo, ma non solo. Perché nel “groviglio armonioso” di Siena tutti hanno avuto sempre la loro parte.
La Mansi ha detto sì alla Fondazione dopo aver detto no prima a Denis Verdini che l’avrebbe voluta candidata del Pdl alla Regione Toscana in disputa con il democratico Enrico Rossi che invece (da governatore) ha avuto un ruolo chiave nella scelta di ieri da parte della Deputazione generale senese; e un no anche ad Alessandro Profumo, presidente di Mps, che l’avrebbe voluta nel cda di Rocca Salimbeni.
No alla politica perché all’epoca voleva continuare a guidare la Confindustria Toscana (l’ha fatto dal 2008 al 2011), no al banchiere “non di sistema” perché era già presidente della piccola Banca Federico Del Vecchio, cassaforte della ricca borghesia fiorentina. No per coerenza, dice. La stessa che l’ha portata ieri a dimettersi dal consiglio di amministrazione Bassilichi, società fornitrice del Montepaschi, e al cui presidente Marco qualcuno attribuisce l’idea di aver buttato in campo il nome della Mansi per la Fondazione.
Perché la Mansi non era il candidato del sindaco Bruno Valentini, renziano atipico con un lungo passato nella Cgil, che piuttosto aveva lanciato l’ex garante della privacy Francesco Maria Pizzetti. A lei, invece, avrebbe pensato anche il past president della Confindustria regionale, Sergio Ceccuzzi, per bruciarla – dicono i maligni senesi – e aprire la strada a Fabrizio Landi (ex Esaote) vicino a Matteo Renzi. Veleni e congetture, come sempre tra le contrade di Siena.
ICerto la Mansi – pragmatica e post ideologica, sostengono i suoi ex colleghi Giovani confindustriali – di sinistra non è. Anzi. Ma la sinistra per così dire ortodossa (quella che rappresenta il presidente Rossi e il capo regionale della Cgil Alessio Gramo-lati) l’apprezza perché da numero uno degli industriali toscani ha scelto il dialogo e si è mostrata affidabile.
E d’altra parte Matteo Renzi crede poco ai corpi intermedi, al gioco del dialogo sociale, mentre Antonella Mansi deve proprio al network confindustriale la sua ascesa dall’azienda di famiglia (la Nuova Solmine, primo produttore di acido solforico in Italia) alla vicepresidenza della Confindustria nazionale, nella squadra di Giorgio Squinzi con la delega pesante all’organizzazione.
Così sembra che lo stesso Squinzi abbia contattato il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni (il Tesoro è l’organo vigilante sulle Fondazioni) per sostenere la candidatura della Mansi, industriale della chimica come Squinzi che in Federchimica ha avuto come vice proprio il padre della neo presidente della Fondazione Mps.
Ma in Confindustria c’è chi vede il rischio di un possibile conflitto di interessi: come si può essere nello stesso tempo rappresentante degli industriali e presidente di una Fondazione bancaria? Risposta della Mansi: «Non ho assolutamente intenzione di dimettermi. Non c’è alcuna incompatibilità statutaria. Ho preso un impegno con Squinzi e intendo rispettarlo a meno che il presidente non mi chieda di fare un passo indietro. E stia tranquillo chi pensa che mi candiderò per la prossima presidenza della Confindustria: io non lo farò».
Sì perché Antonella Mansi da Siena, Cavaliere al Merito della Repubblica italiana, ora è diventata un potenziale candidato forte per il dopo Squinzi. Mancano tre anni e qualcuno comincia a temerla. «Antonella è un diesel », avverte un confindustriale.
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