Roma – Il «piano Grilli» sarà solo la base di partenza. Il governo guidato da Mario Monti è pronto a integrare il pacchetto di proposte per la dismissione e la valorizzazione del patrimonio pubblico per abbattere il debito, e le prime proposte concrete arriveranno all’inizio di settembre.
Insieme al nuovo ciclo di misure legate al processo della spending review, e con lo stesso obiettivo di favorire la crescita dell’economia garantendo la sostenibilità della finanza pubblica, il piano anti-debito sarà l’asse portante dell’ultimo spezzone di legislatura.
Nelle ultime settimane la pressione sul governo per avviare iniziative più incisive sulla riduzione del debito, giunto a maggio a 1.966 miliardi di euro e destinato a superare quota duemila miliardi entro l’autunno, è cresciuta considerevolmente. Giusto ieri il Popolo della Libertà ha depositato anche in Senato, dopo averlo fatto alla Camera, il progetto di legge con il piano per l’abbattimento del debito pubblico di 400 miliardi di euro in cinque anni.
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E sempre ieri sul tavolo del presidente del Consiglio, Mario Monti, è arrivata anche la proposta degli economisti dell’Astrid, che con strumenti differenti punta, nell’arco dei prossimi otto anni, ad un taglio di 180 miliardi di euro. Piani che si aggiungono a quelli già portati all’attenzione del governo da altre forze politiche, centri studi, singoli economisti, tutti con il medesimo obiettivo: dare una spallata forte all’enorme massa del debito per alleggerire le emissioni di nuovi titoli e la spesa per interessi (80 miliardi di euro l’anno), dare un segnale forte di serietà ai mercati, sempre nervosi, rimettere in moto gli investimenti e, di conseguenza, l’attività economica.
Tre fondi pronti – «Il piano del governo è già stato tradotto in legge, con la creazione di tre distinti fondi per le dismissioni, che saranno attuati entro l’anno. Ma ogni altra proposta sarà valutata», fanno sapere i collaboratori del presidente del Consiglio, che ieri ha discusso personalmente con il segretario del Pdl, Angelino Alfano, la proposta del suo partito, che punta alla creazione di un maxi fondo cui conferire beni ed attività per un valore di circa 80 miliardi l’anno, che verrebbero acquistati con l’emissione di obbligazioni ad alto «rating» (ovvero con un qualità superiore, e dunque un costo inferiore, a quello dei titoli di Stato, penalizzati dalle agenzie di valutazione internazionale).
Sui contenuti specifici delle singole proposte, così come sulle cifre messe in ballo, nessuno, nel governo, vuole ancora sbilanciarsi. Ma la sottolineatura che il piano Grilli sarà la base di partenza di tutto suona come la conferma di una linea di estrema prudenza, condivisa dal Tesoro e dalla Banca d’Italia. I tre fondi messi in campo dal governo, uno per la privatizzazione delle società municipalizzate, uno per la dismissione dei beni assegnati agli enti locali con il federalismo demaniale ed un altro per la cessione di circa 350 immobili di pregio già valorizzati e del quale ha parlato ieri diffusamente anche il «Wall Street Journal», potrebbero realizzare nel 2013 dismissioni per circa 4-5 miliardi.
Anche se il mercato immobiliare non appare molto ricettivo. Come sottolinea il quotidiano economico statunitense, immobili prestigiosi come il Castello Orsini di Soriano al Cimino, Palazzo Diedo a Venezia, Palazzo Bolis Gualdo di via Bagutta a Milano, hanno un fascino indiscusso ed un interesse potenziale enorme (come del resto le grandi caserme dismesse a Roma, tra le quali Forte Boccea e quella di via Guido Reni) per i grandi investitori internazionali.
Ma anche prezzi apparentemente incompatibili con la davvero scarsa liquidità che c’è in giro. A Bologna l’Agenzia del Demanio ha messo in vendita l’enorme complesso immobiliare dell’ex Convento delle Carmelitane Scalze, 4 mila metri quadri coperti. Alla scadenza dell’asta non era arrivata neanche un’offerta: deserta, come le altre due svolte l’anno scorso.
Dai 13 milioni di euro di partenza l’Agenzia è scesa di parecchio, ma neanche l’ultimo sconto a 9.980.000 euro (stile supermarket) ha allettato gli acquirenti. Come per l’ex Caserma Sani, che occupa quasi un intero quartiere di Bologna, invenduta a 40 milioni di euro e che ora sarà inserita nel fondo degli immobili valorizzati. Così succede un po’ ovunque con i grandi complessi immobiliari messi in asta dall’Agenzia del Demanio, che negli ultimi mesi riesce a vendere solo appartamenti, o comunque immobili di basso e medio valore. Con i quali sarà difficile abbattere il debito «monstre» dello Stato.
Goldman e Socgen per la Cdp – Molti meno ostacoli, invece, incontra il secondo pilastro del piano Grilli per le dismissioni e la riduzione del debito pubblico. Il progetto di conferire alla Cassa depositi e prestiti le partecipazioni detenute dal Tesoro in Fintecna, Sace e Simest sta procedendo molto speditamente. Il 3 agosto scorso il Tesoro ha affidato a Goldman Sachs International il ruolo di advisor per l’acquisto di Fintecna e alla Société Générale quello per la valutazione di Sace e Simest.
La Cassa depositi non ha ancora formalmente esercitato l’opzione per l’acquisto di queste partecipazioni, ma lo farà senz’altro, anche perché tutte e tre le società secondo i vertici della Cdp, Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, rientrano nel «core business» della Cassa. L’istituto, controllato dal Tesoro, ma partecipato dalle fondazioni di orgine bancaria e pertanto fuori dal perimetro della pubblica amministrazione (e dunque dal bilancio pubblico), dovrebbe sborsare circa 10 miliardi di euro per l’acquisto delle tre partecipazioni, anticipando al Tesoro 6 miliardi subito dopo l’esercizio dell’opzione, atteso alla fine dell’estate. Tra le risorse che arriveranno da Cdp e quelle che scaturiranno dalle dismissioni dei tre fondi messi in piedi dall’esecutivo si stima un incasso straordinario di circa 15 miliardi di euro nei prossimi dodici mesi, poco meno di un punto di Pil. In attesa di approfondire, ed eventualmente sposare le nuove proposte sul tappeto, l’attacco del governo Monti al debito pubblico partirà da qui.
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