Roma – Il premier e’ sempre piu’ solo. Stando ai numeri, ora puo’ contare su appena 121 voti al Senato, quelli ottenuti nel voto di fiducia per il decreto di crescita, in cui non ha potuto contare sull’appoggio del centro destra. Proprio quando le tensioni sui titoli di stato italiani sembravano rientrate, con lo spread tra Btp e Bund sceso ai minimi dell’era Monti, il governo tecnico si ritrova sfilato di fatto della maggioranza parlamentare.
Ore di tensione, il mondo intero e i mercati si interrogano sul futuro del governo Monti, ormai appeso a un filo. Oggi, alle 10.30, il segretario del Pdl Angelino Alfano si recherà al Colle, insieme ai capigruppo di Camera e Senato “a riferire della situazione”, stando alle stesse parole di Alfano.
“Sono ore decisive per il Paese”, scrive il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. “Siamo all’irresponsabilità allo stato puro”, afferma Casini, in riferimento al Pdl. “Qualcuno di vuole riportare alla follia di dove eravamo” continua Casini che aggiunge: “così è tornato Berlusconi”.
Il rischio della disintegrazione della coalizione parlamentare ha spinto in ribasso i prezzi dei Btp, scesi per un secondo giorno di fila. Il rialzo dei rendimenti e’ il piu’ marcato degli ultimi quattro mesi. Il presidente della Repubblica Napolitano ha provato a gettare acqua sul fuoco, sottolineando che “non c’e’ motivo di allarmarsi sulla stabilita’ istituzionale” dell’Italia dopo le tensioni politiche degli ultimi due giorni.
Pur garantendo il numero legale, il PdL ha deciso di “passare all’astensione nei confronti del governo“. Indispettito per le parole del ministro Passera riguardo al pericolo di un ritorno in campo di Berlusconi, il partito di centro destra, prima forza parlamentare, ha preferito non partecipare al voto in Senato sul decreto Sviluppo, sul quale l’esecutivo aveva posto la fiducia.
Nel centro sinistra c’e’ chi gia’ specula sul fatto che la mossa a sopresa del PdL nasconda in realta’ un altro motivo: l’intenzione di evitare che passi il decreto legge sulle liste pulite, che rischia di tagliare le gambe sul nascere all’ipotesi del ritorno in campo di Berlusconi, condannato a 4 anni in primo gradoo per il caso Mediatrade e indagato in altri processi, tra cui quello per prostituzione minorile, battezzato dalla stampa “processo Ruby”.
Cicchitto, deputato del PdL, ha risposto seccato alle accuse, sottolineando come il vero motivo sia un altro. Dopo aver fatto un bilancio dell’operato dell’ultimo anno del governo il centro destra si e’ reso conto che non se la sente di mettere il suo nome di fianco al decreto di sviluppo.
A prescindere dalle dichiarazioni di una parte e le illazioni di un’altra, la mossa ha una chiara valenza strategica sul piano politico: non a caso giunge in concomitanza con l’annuncio della ricandidatura del tre volte primo ministro Silvio Berlusconi. E’ stato Gasparri, ex AN, ad annunciare che oggi i senatori azzurri sarebbero usciti dall’Aula al momento del voto.
Il ministro dello Sviluppo Corrado Passera si era pronunciato in maniera negativa sulla possibilita’ del ritorno in campo dell’ex presidente del Consiglio. “Tutto cio’ che puo’ solo fare immaginare al resto del mondo, ai nostri partner, che si torna indietro – ha detto l’ex Ad di Intesa e Poste Italiane – non e’ un bene per l’Italia. Dobbiamo dare la sensazione che il Paese va avanti”.
Immediata la reazione del PD, l’altro grande blocco parlamentare che ha sin qui garantito il sostegno a Monti, anche quando si e’ trattato di portare avanti misure impopolari di austerita’ che stanno strozzando il paese in nome del rientro di bilancio. “Se il Pdl decide di passare all’astensione, esce dalla maggioranza e vuol dire che il governo non ha più la fiducia della maggioranza delle aule parlamentari”.
Lo ha detto il presidente dei senatori Pd, Anna Finocchiaro, comentando la posizione del Pdl sul decreto crescita.
“Se il governo non ha più la maggioranza che aveva nel momento in cui si è insediato, a questo punto credo che Monti si debba recare al Quirinale“. Lo ha detto Anna Finocchiaro presidente dei senatori del Pd, commentando la decisione del Pdl di non partecipare al voto di fiducia sul decreto crescita a Palazzo Madama.