ROMA (WSI) – Non fa in tempo a svegliarsi dalla crisi più grave dalla sua nascita, che il governo di larghe intese deve già fare i conti con una serie di grane. In primo luogo, gli avvertimenti delle agenzie di rating. Le turbolenze politiche dell’ultima settimana “mettono in evidenza la fragilita’ del governo, che puo’ ritardare le riforme fiscali e strutturali. Ritardi che mettono a rischio la ripresa economica del paese”.
Lo ha affermato Moody’s in una nota. La rinnovata fiducia al governo Letta è “il miglior risultato possibile” dal punto di vista del rating, secondo l’agenzia. Nonostante questo, sempre secondo l’agenzia, l’Italia non centrerà il target europeo di un deficit non superiore al 3% del Pil nel 2013.
Scampata la crisi di governo, il primo vro banco di prova per Enrico Letta sarà la manovra di fine 2013. Il presidente del Consiglio si è impegnato a rispettare il Trattato di Maastricht riducendo il deficit di quest’anno al 3% del Pil dal 3,1% tendenziale.
La correzione di 1,6 miliardi era già prevista nel decreto esaminato il 27 settembre scorso, che però non è stato approvato. Come copertura, la bozza prevedeva di accantonare “le disponibilità di competenza e di cassa relative alle spese rimodulabili del bilancio”, sostanzialmente tagli lineari.
In un documento datato 25 settembre sulla “situazione dei conti pubblici per il 2013″, il ministero dell’Economia ha scritto che la vendita una tantum di immobili pubblici è “inclusa tra le misure volte a ricondurre il disavanzo nominale al 3% del Pil”.
L’elenco degli adempimenti cui il governo deve far fronte va oltre gli impegni assunti con Bruxelles e contiene il rifinanziamento di alcune voci di spesa: cassa integrazione in deroga (330 milioni), missioni militari all’estero (260 milioni), emergenza immigrazione (200 milioni) e social card (35 milioni). Già così la manovra sul bilancio lievita a circa 2,5 miliardi.
C’è poi l’Imu, l’imposta sugli immobili da mesi al centro del confronto tra i partiti. Il Parlamento deve convertire in legge il decreto che ha eliminato la prima rata dell’imposta su abitazioni principali, terreni agricoli e fabbricati rurali.
A fine agosto Letta aveva promesso al Pdl di approvare entro il 15 ottobre un decreto legge per eliminare anche la seconda rata di dicembre. Il costo è di 2,4 miliardi e, se il governo dovesse ribadire l’impegno, Fabrizio Saccomanni dovrebbe trovare risorse complessive per quasi 5 miliardi.
L’Europa ha chiesto all’Italia di fare marcia indietro sulla famigerata tassa.