Per la prima volta in 25 anni, Moody’s taglia il rating della Cina, che passa ad “A1” da “Aa3”. Si chiude così un lungo periodo segnato da una crescita impetuosa e dall’uscita dalla soglia di povertà per oltre 600 milioni di persone. La decisione prende le mosse dai timori sul rallentamento della crescita economica e sull’aumento del debito governativo proiettato verso il 40% del Pil per il 2018.
“I progressi in corso sulle riforme probabilmente trasformeranno l’economia e il sistema finanziario nel tempo, è però difficile che impediscano un ulteriore aumento materiale del debito in tutta l’economia e la conseguente crescita delle passività potenziali per il governo” si legge in una nota.
Moody’s ha parallelamente migliorato l’outlook della Cina da negativo a stabile (lo aveva peggiorato da stabile a negativo nel marzo 2016). La questione è se S&P’s deciderà di seguire Moody’s, avendo emesso l’outlook negativo su Pechino a febbraio 2016, ponendo le basi per il possibile downgrade. Attualmente, il giudizio di S&P’s è un gradino superiore a quelli di Moody’s e Fitch.
Moody’s ha anche osservato che il deficit del budget del governo s’è mantenuto nel 2016 al passo “moderato” del 3% del Pil, contro aspettative del debito governativo destinato a portarsi verso il 40% del Pil entro il 2018 e al 45% per la fine del decennio.
La Cina ha giudicato “inopportuno” il taglio del rating dovuto a “una sopravvalutazione delle difficolta’” dell’economia, secondo il ministero delle Finanze.